Le cose s’avvolgono d’ un silenzio immoto e greve,
di luce umida di nebbia,
del pigro scorrere di ore dei giorni di festa.
Sazi del cibo e di parole,
s’ascoltano echi:
ti voglio bene, ci sei,
è bello ritrovarsi nell’anno che verrà,
di certo sarà buono,
forse.
Resta l’ indecisione che si fa casa,
un sonno da tepore e d’aria respirata,
mentre fuori la luce cala presto e la nebbia sale.
È passato, non ha lasciato tracce, neppure un’orma sulla neve. Neppure la neve.
Si rammarica il cuore (?), l’anima (?), il semplice sentire (?), d’aver perso un treno,
ma da tempo non si sa dove sia finita la stazione.
Forse per questo fuggono via dalle feste, dal pensare,
da questa nebbia che da troppo tempo parla e non si vuol capire.
Forse per questo, o per altro,
ma nel cuore del mondo nessuno fugge più,
e stupito ascolta parole che capisce a stento,
immagina, intuisce, guarda,
mentre attorno scavano fossati.
Già…