appunti sul Cansiglio

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Anguane (anche òngane): ninfe ammaliatrici che abitavano nelle vicinanze di pozze d’acqua o nelle cavità. Benevole in montagna e via via malefiche verso la pianura (forse non dipendeva da loro). Il loro nome veniva usato per tenere i bambini lontani dalle pozze d’acqua e dai bus (buchi) del terreno carsico.
Salbanei: folletti dispettosi e mattacchioni che annodano i capelli ai bambini, mettono a soqquadro le stanze, nascondono le cose.
Con i semi di faggio, le faggiole, si faceva una farina per fare pane o altro cibo.
Anno di pasciona lo scorso anno, ovvero di abbondante produzione di semi che daranno origine ad alberi. E il bosco cresce per semina propria e selezione naturale.
Nomi di piante viste e trovate, tra le altre, geranio, cardo, bardana, veccia, artemisia, aconito( velenoso e mortale), veratro (falsa genziana velenosa), molte orchidee, ce ne sono più di 70 specie di orchidee selvatiche. Il tutto tra un numero imprecisato di specie di piante. Il sottobosco ha una bellissima elasticità, è coperto di semi, foglie, residui vegetali, densamente abitato… Chiazze di sole tra ombra fresca e profumata di legno e resina, c’è un profumo di timo selvatico che si solleva quando lo calpesti.
Il Cansiglio è un altopiano con 6570 ettari di bosco di proprietà pubblica diviso tra due regioni e tre province (adesso che spariranno le province non si potrà più dirlo).
A parte le case dei Cimbri, non ci sono proprietà private nel Cansiglio.
Acquisito dalla Serenissima assieme alla città di Belluno nel 1500, tenuto in gran conto soprattutto per i faggi necessari per fare remi da 6/8 mt e utilizzato in grande tutela, con un apposito provveditore.
E’ un territorio carsico con una configurazione depressionaria, una sorta di catino bucato, dove piove molto e non c’è acqua e che crea il curioso fenomeno di avere temperature bassissime a bassa quota (anche -35 a 1000 mt).
Ricco di grotte profonde e foibe : Bus della genziana, Bus della lum e l’Abisso del Col della Rizza. ( Bus si pronuncia con la esse che ha un suono strascicato e tra esse e zeta.
Oggetto di migrazione di Cimbri dall’altopiano di Asiago (Roana) che approfittarono della fine della Serenissima (1798) che vietava gli insediamenti, ebbero fino a 500 individui su tre comunità. Oggi ci sono 13 cimbri stanziali in tutto il Cansiglio. Gli abitanti residenti dell’altopiano sono una trentina.
Foresta di faggi, abeti, pini, poche betulle e querce. Gli alberi si regolano da soli e cercano le migliori condizioni per attecchire e vivere. E chi ha detto che la foresta non si muove? 
Come distinguere l’abete bianco dall’abete rosso: i rami del primo sono decombenti (verso il basso), quelli del secondo assorgenti (verso l’alto). Belle queste parole, decombente e assorgente, denotano uno stare, un essere e non un sopportare o un dovere.
Nell’abete gli aghi sono singoli e nell’abete bianco sono piatti, mentre in quello rosso sono cilindrici. Nel larice e pino sono a ciuffetti, tre o più aghi assieme
Dalla distillazione della resina dell’abete rosso si ricava la trementina (acqua ragia). Il legno è bello e facile da lavorare, oltre che per utensili e lavorazioni, ha doti di grande risonanza musicale e si presta per fare casse armoniche di strumenti. Alberi di navi non se ne fanno più e agli impianciti ci pensano quercia e teak, un po’ mi dispiace.
I veneziani preferivano il faggio, legno duro e facile da lavorare, ottimo per i remi, con gli abeti, più elastici, facevano alberi e pennoni. Ma ci pensi come facevano a portarlo fino in arsenale a Venezia con pezzature anche da 15/20 metri…
Il nome Cansiglio: concilium luogo di incontro.
Come raccontare una giornata così piena di verde, colore che s’indossa e s’inghiotte, ma non si descrive con facilità? Si pensa verde, lo si assorbe, si diventa verdi dentro, oscillando sincroni, nella mutevolezza che lo fa sfumare nell’aria oppure incupire nell’ombra. Assomiglia all’umore libero, senza aggettivi. Il Cansiglio è un bosco e un luogo e qui si potrebbe finire, invitando ad andarlo a visitare, a viverlo. I miei appunti non parlano della magia che si avverte sottile. Quando le cose si destrutturano nella semplicità, emergono forze strane, impalpabili, nascoste. Tutto è ciò che sembra, ma anche altro. In fondo la linneana geometria dei nomi, è un ordine che serve a noi, ma tutt’attorno lussureggiano piante con varia iterazione con l’uomo. Gli animali sanno ed evitano, oppure sviluppano antidoti. Il confine tra velenoso e benefico porta indietro, a pratiche semplici, decotti, estratti, disseccamenti, che è poi rimettere armonia con ciò che si mangia, con ciò che si è. La magia è questo irrompere dell’archetipo, del semplice senza nome riportato a sentire. Basta un buco nella terra per capirlo: le foibe impauriscono ed attraggono, come ogni abisso. Succede anche nell’animo. E la fredda esalazione del profondo inverte le idee d’inferno, eppure il verde si lancia verso il fondo senza paura, come i sacchetti di rifiuti che l’uomo buttava (adesso non più), però il verde è vivo e alla fine vince. Andare a fondo senza paura, fidando. Magia è uno stato non una constatazione. Forse esigerebbe solitudine e silenzio. Nella foresta non c’è silenzio. Mi torna a mente un’ eclissi totale vissuta in montagna, si oscurò il sole e gli animali, d’improvviso, tacquero, per paura. La paura impedisce di comunicare, ci toglie dalla naturalezza. Ma oggi non ci sono eclissi e tutto parla, si muove, comunica. Cosa comunica il verde che trasfigura in marrone e si scioglie nel giallo? Anche in questo soccorre l’idea di magia, il linguaggio senza nomi non si decritta eppure rasserena, come le erbe medicinali che sciolgono la tensione se ci si affida. Affidarsi, ecco un termine che accompagna la magia, bisogna sentire che non c’è minaccia, ma equilibrio che accoglie. Mi convince la riflessione della guida sulla pericolosità degli animali, prima vengono gli choc anafilattici con i calabroni e le vespe, poi, molto distanti, i cani selvatici e non hanno invece rilevanza i lupi, gli orsi, i cervi, le stesse vipere. Se facciamo parte di un equilibrio le regole sono commisurate alla nostra forza e adeguatezza, ma noi non siamo più in quell’equilibrio, ne abbiamo alzato l’asticella complicandolo. Sovrastrutture. E’ così bella l’idea che tutto questo verde sia un bene comune, che la proprietà non lo tocchi, che non si complichi ulteriormente l’equilibrio.
Il verde non si racconta, neppure l’idea di spazio, l’ombra, il sole, l’alternarsi di nubi e luce piena, neppure il profumo che si mescola col fumo delle cucine. Si mangia, facciamo rumore, tutti assieme si serra il branco, si ride molto. Fuori la foresta, il silenzio che non è tale, la comunicazione con i tempi lenti delle stagioni. Il verde è quel colore che è suono, erba alta spostata dal vento, oscillare semplice, indifferente e forte.