lettere

Mi vedeva scrivere ogni sera. Quando uscivo dalla caserma, andavo alle poste centrali o in un bar e scrivevo. Lui passava andando altrove, ma i percorsi dei militari erano sempre gli stessi. Fu forse per questo che mi chiese di scrivere una lettera. Sapeva scrivere, mi disse, ma la sua scrittura era incerta nell’ortografia, ripetitiva nei contenuti e invece voleva fare bella figura con una ragazza. Avrebbe copiato quello che scrivevo e la lettera sarebbe diventata la sua. Allora c’erano manuali per comporre testi in tutte le stazioni, copia da uno di quelli, gli dissi. Lui ci pensò e poi mi rispose: no, le lettere che si scrivono, sono diverse. Tutte diverse. Sono vive. Quella lettera la scrissi, non ne conosco l’effetto, andammo in reparti diversi e lontani, ma l’idea che le lettere siano vive è vera.

Le lettere più belle che ho scritto, quelle che avevano sin troppo di me, spesso non le ho spedite. Altre le ho scritte nella mia testa ed erano altrettanto belle, piene di legami forti e di vita, messe poi sulla carta si adattavano al mezzo perdendo colore, intensità, smalto. Alcune sono poi partite, altre ingrossano i miei fascicoli di carte. Mi è sempre piaciuto scrivere a mano, meglio con la carta giusta, bianca e senza righe, con la stilografica. Già il mezzo è un’attenzione verso chi riceverà e l’inchiostro stabilisce una intimità che è quasi un colloquio. Ubbie, romanticherie, una parte di me.

A mie lettere importanti non è stata data risposta, con le parole dette a voce si è inteso sostituirla. Non era lo stesso, ma anche questo era un segno che c’erano attenzioni diverse. Quando si scrive c’è un’urgenza, qualcosa vuole uscire e sa che resterà. La lettera è un soliloquio in presenza spirituale dell’altro. Gli si parla e si dice ciò che si ha dentro senza interruzioni. Alla fine le cose non saranno esattamente le stesse di quando si è iniziato, scrivere aiuta a capire, modifica. La propria visione delle cose meriterebbe un’altra visione delle stesse e del mondo. Un parlare di sé che vada oltre le paure, quella di mostrarsi, anzitutto. Se non accade, il mondo continua, significa che non è grave.

Di sicuro, chi ho amato ha avuto mie lettere, gli ho raccontato quello che provavo e quello che speravo. Non c’erano molti particolari della giornata, ma molti immutabili di sicuro. Il rapporto tra ciò che ci sembra non mutare in noi e ciò che ci accade attorno è un esercizio fine di discernimento. Specie se si è innamorati. Ci sono cose importanti che vengono fuori e sono la pazzia che salva ed è irripetibile. Spesso le parole sono state una gabbia nelle sensazioni, quando ho cercato di spiegare troppo mi sono perso, e allora ho chiesto alla parola scritta di modularsi con quello che sentivo, di affinarci assieme. Ho messo la pazzia del sentire nelle parole, confondendo immagini e analisi, legami e paure. E comunque ho scoperto molto di me raccontandolo a chi pensavo avesse una capacità di capire. Un esercizio di certezza e un affidarsi. Anche quando le lettere sono rimaste nel cassetto, il cuore ne era stato preso.

Mi è sempre piaciuta la posta, la definitività dell’imbucare, immaginare il percorso, la lettura, il riscontro. E finché tutto questo accadeva, anche il ripensare a ciò che avevo detto. Pentendomi non di rado, avendone paura o gioia. Conoscendo la sostanza delle parole, il loro potere, mi interrogavo sino alla risposta. E quindi lo scrivere lettere è stata un’ attività dinamica del sentimento, nulla è mai rimasto fermo.  L’attesa dell’altro e il dirsi. Come un abbracciare anche quando era un addio, perché il bene, se c’è, non lascia mai davvero e se non c’è si abbraccia il nulla. 

difficoltà di spiegare

Lettere in stampatello, un po’ ondivaghe e diseguali, come fanno i bambini che hanno imparato a scrivere, ma non si lasciano andare al mare del corsivo per timore d’annegare nel senso. Conoscere la semplicità e la forza adulta che sta dietro quelle lettere pitturate con cura, guardate a fine opera prima di ripulire il pennello, perché i pennelli costano e vanno ben tenuti, avvertire lo sguardo che sorride muto, perché è tutto corretto e si può mostrare, è una gioia. Il cartello parla di una cosa comune, del suo buon uso, e sapere chi l’ha scritto è un piacere d’umanità. In altri tempi ho visto quegli occhi commossi, le mani grandi attorcigliate d’emozione, per qualcosa che ci riguardava tutti, ed è un privilegio che mi ha fatto capire molto. Lui, e molti altri come lui, uomini e donne, hanno vissuto due vite, una fatta di difficoltà, di affetti, di molto lavoro e sudore da fatica fisica, e un’altra vita fatta di lotte, presenza, volontà di cambiare, non per sé, per tutti. C’è una grande differenza tra la crescita e il successo personale e quello di tutti. E’ una differenza dove una parola desueta , solidarietà, è addirittura coniugata alla francese, e quella fraternità sembra una cosa vecchia, da persone che mettono assieme i loro destini. Forse per questa desuetudine a pensarsi assieme, di certe cose non si parla più. E forse per questo è difficile spiegarla al segretario del pd che punta al nuovo e ha pochi ricordi di lotte, ma è la differenza che sta tra sinistra e centro destra: da una parte si pensa di crescere assieme, dall’altra crescono i singoli. Però chi ha scritto il cartello è dentro al pd e non ci pensa proprio ad andarsene, ha dato fiducia al segretario perché chi vince ha la responsabilità di portare avanti le idee comuni. I segretari non si costruiscono sulle idee, quelle sono il nostro patrimonio, ti spiegherebbe, ma sul modo per realizzarle. E così gli dà fiducia anche se farebbe in altro modo. Quando parla, dice poche cose, così gli guardo le mani grandi e sento che anche loro parlano e ciò che esce fa fatica perché è radicato dentro. Non cambia opinione sul fatto che il giusto debba emergere e debba essere di tutti. E lui sa cos’è giusto e cosa non lo è, chi è debole e chi è forte, dove dovrebbero andare a prendere i soldi e dove invece bisognerebbe portarne. Ha fiducia del segretario, perché di un compagno si ha fiducia. Per questo non saprei come spiegare al segretario del pd che queste persone non si possono deludere, o peggio tradire, che in queste persone sta l’essenza del cambiamento perché sono disposte a soffrire se è per tutti e non solo per pochi. Non hanno mai avuto problemi di identità, sanno chi sono, perché sanno da che parte stare. Penso a questa difficoltà di comunicazione, di ascolto di chi non ha salotti o potere, di fiducia concessa perché un compagno non tradisce. Lo penso finché guardo il cartello, le lettere in stampatello, le loro altezze e righe un po’ ondivaghe. Penso che domani saremo assieme, che ci sarà buon cibo preparato con fatica e allegria, perché a stare assieme in cucina ci si diverte pure, che ci saranno parole e sorrisi, e magari lui si commuoverà perché gli accade quando sente che siamo in tanti e dalla stessa parte.

Sorriderà anche al fatto che invece che mille euro ne basteranno 20 per pranzare e autofinanziare quella campagna elettorale già fatta e perduta, perché tra le tavole piene di gente e importante e queste c’è una bella differenza. Qui i debiti si onorano anche quando si perde, ma l’avversario resta avversario. Questa è la differenza che fa di un uomo un uomo, ma chi glielo spiega al segretario.