Doveva essere un caldo terribile quell’anno se la madre di uno di noi, ci aveva lasciato, insistendo molto sull’uso, un fiasco di menta piemontese. Proprio un fiasco di quelli impagliati col tappo di sughero, col cui contenuto avremmo dovuto trasformare ettolitri di semplice, buona, fresca acqua in bevanda dissetante e toglierci la sete de-fi-ni-ti-va-men-te durante la giornata. Proprio così disse: definitivamente. E ci vedeva al sole che sorseggiavamo, finalmente liberi dall’arsura. E invece dopo il primo litro buttato quasi tutto, ne era seguito un altro con l’idrolitina che aveva fatto la stessa fine. E poi basta perché ci riempivamo di birra, cocacola e facevamo mattina raccontandoci quello che avremmo fatto l’indomani, pasticciavamo con patatine, salame e sozzerie, dormivamo fino alle 11 quando in tenda era impossibile stare. Ed era una vacanza epica, sempre pieni di sale e in spiaggia fino a notte, mai nessuno che ti chiamasse, se non per prenderti in giro, mai nessuno che ti dicesse fai questo, fai quello. Avevamo 17 anni, la menta era il legame con la fanciullezza, il sostituto del tamarindo Erba, in spiaggia, il pomeriggio, la mamma e la famiglia. Via tutto, eravamo uomini che ansavano vita vera.
Alla partenza, il fiasco lo regalammo al tedesco della tenda di fianco, e mentre ci salutavamo dall’auto in movimento, alla prima curva, vedemmo che, felice, lo brandiva. E ci salutava. E lo stappava. E stava per berne dal collo una lunga sorsata. Era scritto “soave” sul fiasco e il tedesco non doveva contare molto se la Germania non ha poi dichiarato guerra all’Italia.
