Mio Nonno il 4 novembre 1918 non lo vide mai. Già dall’anno precedente, era morto e sepolto. Alla fine di quella quarta settimana di agosto 1917, avrebbe dovuto essere avvicendato al fronte, ma non era tornato insieme a metà dei suoi compagni; dopo mesi di inutile carneficina, aveva perduto vita, affetti, speranze in una di quelle doline che in 12 battaglie sull’Isonzo si portarono via più di 100.000 uomini.
Ogni tanto passo a salutarlo a Redipuglia, un colle come quelli da cui era venuto e da cui la famiglia sarebbe nuovamente emigrata. La famiglia così glorificata, riempita di pompose e inutili parole, questa volta era rimasta senza maschi adulti ed erano le donne e bambini ad andare verso l’ignoto. Quella guerra, che faceva piangere ogni famiglia e disfaceva quello che si era conquistato con fatica, costringeva a riprendere da capo le vite. Più deboli, più fragili, più soli: dov’era la vittoria? La nostra famiglia impiegò due generazioni a ritrovare serenità.
A questo dovrebbero pensare quelli che hanno il potere di dichiarare guerra, di trasformare l’omicidio e la morte in atti eroici o in danni inevitabili: che disfare è semplice ma rimettere assieme è complicato, lungo, doloroso, mai uguale.
La guerra la dovrebbero fare i ricchi, perché sono loro che si dividono il surplus di benessere del mondo. Sono loro a cui non basta mai la terra perché non la lavorano, le case perché non le costruiscono, gli agi e le ricchezze perché non nascono dal sudore e dalla fatica di vivere. I poveri o quelli che vivono del loro lavoro, dopo la guerra, se va bene resteranno come prima ma quasi sempre ne usciranno ancora più poveri, maltrattati, retrocessi a miseri.
La guerra devia le vite dal loro corso naturale e i morti perdono sempre. Gli affetti si trasformano in dolore, ciò che era possibile diviene difficile, spesso impossibile e ogni vita stroncata trascina con sé altri destini, ne segna il futuro. Poi tutto trova un faticoso equilibrio ma prima di ogni guerra, dovrebbe levarsi la maledizione corale per chi la provoca, la inizia, la prosegue: nessuna delle sofferenze sarà senza un responsabile e che esso sia esecrato non glorificato.
Patria sfasciafamiglie ad orgoglio proprio. Pure con benedizioni elevatissime e Superiori.
Purtroppo hai ragione, nel nome della più becera retorica si fornisce una ragione a tutto ciò che ragione non ha.
La guerra è un affare redditizio per i produttori e venditori di armi, per le aziende responsabili della riparazione dei danni e, soprattutto, per la corruzione dei governanti. Alla fine, i morti non hanno persone in lutto e sono quelli che ne subiscono le conseguenze. Un articolo illuminante che ci fa vedere la realtà della follia degli esseri umani quando sono provocati. Buon fine settimana.
La guerra sconvolge i poveri e arricchisce i ricchi, distrugge gli amori possibili e toglie vita a quelli in essere. Lo sappiamo amico mio, solo i poeti leggono oltre, in fondo è la poesia che è nemica della guerra perché tutto comprende della bellezza del vivere.
Redipuglia è un luogo magico e agghiacciante.
Agghiaccianti lo sono I cimiteri monumenti che vorrebbero giustificare la morte. Redipuglia con la sua sfilata di arche e tombe di generali in prima fila è la prefigurazione di un esercito alla rovescia perché non erano i comandi ad andare all’assalto, ma quelli che attraverso gli ordini avrebbero causato la morte dei soldati. Diversa era la situazione nell’immediato dopoguerra quando la prima Redipuglia, il San Michele è molti altri luoghi erano costellato di cimiteri piccoli con un frammischiare di cavalli di frisia, armi, croci e tombe. Luoghi della prima e immediata pietà per il commilitoni, il compagno, l’amico. Poi venne la magniloquenza. Bisognerebbe ricordare che il giorno in cui Mussolini inaugura Redipuglia poi va a Trieste e annuncia le leggi razziali. Quanti italiani ebrei c’erano nel sacrario che aveva appena inaugurato, molti,
Sì. E’ così.