Principi di pensiero, ovvero inizi, sollecitazioni, bisbigli dagli angoli colmi d’ombra, dall’aria che distribuisce acari e polvere in lame di luce. M’incanto nella danza di cose che si divertono nell’attimo. Si passa da pensieri negativi, di assenza fino al timore di perdere sé e poi viene un sentire onde di vita che non hanno nome. L’inconoscibile si stende ovunque, ciò che peschiamo in questo mare è lo sconosciuto, prima, e il conseguente, poi, delle nostre vite. Sapere è sensazione drastica del limite, generatrice di moltitudini di pensieri errati, di alcuni corretti, di pochi, a volte, geniali o giusti che guidano e forniscono l’idea di futuro. Un futuro personale, incerto nelle paure che mi riguardano, incerto nel persarsi parte di un collettivo, incerto ma che non può non vedere e immediatamente dimenticare. E non costruisce perché non solidifica idee e non convince, non aggrega. Tra due incertezze il pensiero coglie le cose, rivendica ricordi, stabilisce connessioni leggere e si appoggia al sentire/sentimento che naviga in un mare. Così gli sembra e gli pare di conoscerlo, ma è superficie, spunto senza seguito, quasi meditazione di un perdersi.
I pensieri leggeri nascono e si spengono, raramente con rimpianto, ma accade quando una sequenza di connessioni per un attimo illumina e poi si spegne senza poterla fissare. I pensieri leggeri sono motrice e legame degli attimi, cuciono il nostro tempo in qualche misterioso senso che pesca nell’inconosciuto e genera la piccola realtà interiore.
Se penso alla realtà come a un succedersi di strati, è ancora l’analogia con il profondo a prevalere, è scavo nel più permeabile mare o quello, ben più difficoltoso, nella terra. Entrambi pieni di periglio e oscurità mentre si scende. Anche andando verso l’alto, ancora si percorrono strati verso un profondo rovesciato che non finisce e che è ben più ampio e infinito. La luce resta solo vicina all’io che parte e poi comunque subentra il buio cosparso di stelle e distanze senza percezione, pur avendo esse misura. In questo andare in cui non ci si muove se non con il pensiero sta la paura dell’abisso, ma comunque viaggiare nel profondo è un partire dalla percezione di sé nella superficie, nella rete di pensieri accennati, nella rete di connessioni singole che in un punto sarà smagliata e da lì ci porterà altrove. In noi.
Moti d’occhi e di sensi attratti da momentanee esplosioni d’interesse: una cosa ritrovata, un mutare di luce, un passo in un libro che sembra vederci come siamo e intanto manda ad altro. Uno sterminato galleggiare interrotto da richiami alla realtà e racchiuso in isole d’interesse che spingono a soffermarsi. E’ un luogo questo tempo mio senza oggetto, che può galleggiare oppure tuffarsi verso il profondo e ritrarsi nel significato che solo lì si trova, per un tempo che perde senso perché è continuità senza smagliature. Riemergere e rivedere le cose, le connessioni tra di esse con mente nuova, nata dal pullulare di pensieri che principiano e poi oziano. Pensieri senza necessità, né utile, privi di apparente connessione, come i sogni.
Sapere che c’è qualcosa di inconoscibile mi mette di buon umore. È indizio che può esserci scoperta.
PS. Il brano è stupendo, mi riporta a casa.
Scopriamo ciò di cui siamo curiosi e solo a volte degni, ma non finisce mai.