ascoltare stanca

Ascoltare, a volte, stanca; come lavorare, ma cambia il modo di vedere le cose. Ad esempio si capisce che il sistema di evidenze costruito pazientemente, non è così evidente, che gli assiomi sono traballanti, che le vite, come le felicità, si assomigliano tutte e che per molti neppure l’infelicità è differente. Si capisce che il futuro che sembra appartenerci e così carico di noi, è tutto da spiegare e non è detto che assomigli neppure un briciolo a quello che stanno raccontando. Si capisce che i giudizi perentori sono come le simpatie, ovvero basati su un’impalpabile essenza di quotidianità distratte.

Molte persone credo abbiano pensieri brevi e penso dormano, poi si svegliano, lavorano, tornano, si prendono cura e a volte fanno all’amore. Ma non fanno solo questo, perché dentro di loro pullula un mondo che chiede di uscire e allora la scelta che hanno è tra il tacitarlo oppure guardarlo con la giusta meraviglia, chiedendosi dov’era prima tutta quella roba e di chi fosse.

È quando si mette un tappo che cominciano ad accumularsi gli anni, come appartamenti di periferia, gli uni sugli altri, nati da speculazioni arroganti che lasciano senza storia e con vite che si rimpiccioliscono. Allora chiedere ragione di un giudizio genera fastidio, la vita è in 80 mq, il resto è rumore, o spiaggia, o villaggio turistico, o l’auto che invecchia e diventa lo specchio dei motori interiori che accendono spie che vengono ignorate, si adattano, funzionano come possono. Ad certo punto c’è più memoria di uno striscio di carrozzeria che di un cambiamento sociale e così se si chiede quando è iniziata l’emergenza profughi, o quando le badanti sono diventate più convenienti degli ospizi e dei figli amorosi, gli occhi si sgranano cercando una data che in fondo non c’è. Neppure di prima dello smart phone c’è memoria e nèanche di quell’ultimo libro letto che aveva quell’autore, coso, come si chiama, sì quello che poi hanno fatto anche il film. Ma qual era la trama? Pare ma non c’è certezza. 

Allora essere governati significa farsi gestire il percorso casa lavoro in maniera più semplice, vuotare il cassonetto sotto casa, cacciare i topi e tappare le buche. E il futuro così si è risucchiato nelle vite, che hanno futuri propri e divergenti. Il giornale semina disgrazie, e forse dovrebbe mostrare una possibilità, ma quando lo si legge in internet scompare quando si spegne.

Ascoltare e scoprire che ci pare di sapere, capire che ci è stato tolto il governo dell’ignoranza: prima ci pareva di conoscere bene i nostri confini, mentre ora si capisce che la volontà di sapere non colmerà nessuna lacuna, ma in fondo sarà un fatto personale. Ascoltare, spiegare, tacere ed essere stanchi di capire, è questa la differenza di cui parlava Tolstoi? L’infelicità di non colmare le distanze tra i progetti, tra le vite, la coscienza che non ci sono toppe e tantomeno l’onnipotenza del metterle giuste. Ascoltare e capire che il reale è uno specchio infranto. E mostra tanti piccoli pezzi di presente, quindi tanti futuri, ma nessuno che ricomponga quello che era assieme.

C’è a chi viene naturale ascoltare, gli pare di imparare non sa bene cosa, si riconosce e nel capire sente un profumo di già vissuto oppure di pericolo scampato, o ancora di felicità perduta e vorrebbe pronunciarla quella parola, noi, che annoda le storie, ma non gli viene e così ascolta e annuisce.

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11 pensieri su “ascoltare stanca

  1. Forse le parole nascono quando si pronunciano e forse muoiono quando non si ascoltano.
    Chissà…
    Comunque io, a chi sa ben parlare, preferisco di gran lunga chi sa ascoltare con attenzione. Senza stancarsi 🙂

  2. Le parole vivono dentro di noi, se non vengono ascoltate perdono la loro forza e sviluppano le tossine che fanno morire la relazione. Ho la necessità di dare un nome alle cose e questo più che dire mi fa ascoltare. Ho anche la presunzione di pensare che chi ascolta non si fermi mai alla superficie.
    Che sia una buona giornata Josè, qui il caldo e il sole fiaccano e fanno desiderare di essere altrove. 😊

  3. L’arte antica dell’annodare praticata da chi cerca l’uomo è non il polemos. Ma tu annodi Marta e lo fai con delicatezza

  4. Bel post come sempre. L’ascolto attivo e attento è difficile e a volte logorante, spesso ci si lascia travolgere dalla nube delle abitudini reiterate giorno dopo giorno.

  5. Hai ragione E. l’ascolto attivo è impegnativo, d’altronde se c’è un interesse viene naturale sentirsi coinvolti. Le abitudini bisognerebbe condividerle altrimenti sono come i modi di dire: schermi tra le persone.

  6. Piace assai più chi ascolta che chi parla,
    poi chè di ciarla in ciarla non si cale
    se l’ altro, poverino, è un integrale ! 😦
    Se invece ascoltiam chi mai non ciarla,
    rispettiam l’ altro … qual che sia il suo male ! 😀

  7. L’ascolto è quasi morto. Vita frenetica una superficialità della gente che in questi anni è esplosa in modo dirompente, voglia malsana di protagonismo ed una forma di narcisismo all’ennesima potenza, hanno di fatto spento l’ascolto se non di se stessi. I social ne sono una prova costante, oramai molti non riescono a tenere desta l’attenzione per un concetto (concetto…. pensierino è meglio) che superi le tre righe, meglio se c’è solo la fotina. Tutto questo si riverbera sul quotidiano o forse è stato il contrario ad accadere, ma il risultato non muta.

  8. @Daniele Verzetti Rockpoeta: Mi capita sempre più spesso di pensare a comunità separate (non voglio usare la parola superstiti perché escluderebbe una speranza evolutiva del restante sistema), cioè di persone che leggono libri di carta, che scrivono a mano oltre che sugli smartphone, che pur avendo autostima cercano di pensare anche in termini collettivi e praticano il dubbio e la ragione. Penso anche che queste persone ascoltino più facilmente, sentano la superficialità come un danno a se stessi e che della vita frenetica capiscano il vuoto che essa lascia. Hai ragione in tutto quello che dici, Daniele, ma è possibile fare diversamente. Certo a chi viene. E’ possibile ascoltare, scrivere tutte le righe necessarie per spiegare un modo di vedere, non curarsi dei mi piace che latitano e dei commenti che mancano, insomma è possibile uno scatto di orgoglio e diversità. E se praticarlo porta ad essere in una comunità di differenti allora ben venga perché almeno tra affini ci si capisce. Insomma per dirla con Gramsci, il presente non è né dato né immutabile, almeno il nostro, e il futuro che ci appartiene dipende da quello che ci dà una identità. Grazie per la tua riflessione che condivido molto.

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