Cos’è importante in una scrittura, in un discorso? Che si capisca quello che vuoi dire, diceva la mia insegnante d’italiano. Non l’ho mai ascoltata molto. Caparbio e testone, propenso a fare per mio conto, non mi sono mai curato davvero che si capisse tutto. Però pur senza regole e senza obbiettivi chiari, ma con gli anni, qualcosa si è venuto a codificare dentro. Ho modi di dire, giri di frase che assomigliano a giri di blues, note di preferenza, meccaniche consumate come tasti di chitarre solitarie. Quando parlo in pubblico mi chiedo a chi sto parlando, organizzo le frasi su un contenuto, ma poi, parlando a braccio, le cose vanno per loro conto e le scalette mentali si confondono nell’economia di un messaggio. Lì il testo si piega a un fine, a un tempo prefissato, invece quando scrivo la ricerca della libertà da vincoli è più evidente.
Si può scrivere di tutto, ma ciò che scriviamo parla di noi. Per questo la mia curiosità di lettore si esercita su chi m’ interessa: leggo tra le righe, mi chiedo cos’ abbia motivato esattamente quelle parole, cerco d’ intuire i momenti di stanchezza, decifrarla nelle frasi che chiudono non perché non ci sia null’altro da dire, ma perché bisogna pur chiudere, o non dire, o non eccedere.
Leggendo, trasporto sulle mie abitudini di penna quelle di chi leggo. Faccio paralleli, ma soprattutto ascolto. È facile raccontarsela e raccontarla. Quante volte la scrittura libera e quante volte, invece, prosegue una prigionia rendendola più leggera?
Forse dalla scrittura e dalle parole ho imparato ad avere preferenze piuttosto che giudizi, antipatie piuttosto che rifiuti. Se ha qualcosa da dire si ascolta anche l’antipatico, non ci si pone su un piano di superiorità. Ecco, un altro insegnamento della scrittura e delle parole appropriate è che siamo tutti sullo stesso piano, qualcuno è più bravo, altri meno, ma questo non tocca più di tanto le persone. O almeno a me così pare.
Non ho una scrittura facilissima, me ne rendo conto, sotto sotto dico parecchio di più dell’evidenza, ma questa è una cifra che lascio a chi legge e se mi sorprendo di non essere compreso, non spiego e non giustifico. Dire che si è stati male interpretati è una furbizia squallida della politica, cioè il dire e il ritrarre la parola, il senso. Se si dice, le parole sono di per sé esaustive e ciò che non viene capito si capirà, oppure no, ma davvero importa così tanto?
Se guardo al passato, oggi vedo una scrittura a trama fitta, ricca di particolari, di aggettivi e verbi collocati secondo il pensiero più che secondo la sintassi. Il governo del senso vorrebbe essere simile a quello del direttore d’orchestra senza bacchetta, che accarezza e accompagna i movimenti. Purtroppo non è così, o almeno lo è di rado. Vedo anche un ripetersi di modalità e la voglia di far emergere squarci di luce, qua e là, dove la trama dirada. Prendere per mano e portare l’interlocutore verso il particolare, come fa una luce spot in teatro. Illuminarlo per un momento, far in modo che ne resti consapevolezza e una domanda: che ho visto? Nei dettagli si nasconde molto, anche il riposo dell’andare, ma mai la noia.
Sembra ci sia un programma, un interlocutore, un fine, ebbene vorrei disilludere: racconto a me stesso e a chi condivide,ciò che vedo. Senza ambizioni, con molte velleità.
Avere il senso del limite e il sorriso malinconico, questa è la scrittura che mi piacerebbe davvero saper fare, ma forse dovrei assoggettarmi a regole. E a me le regole piacciono davvero poco.
Che bella questa cosa:”Prendere per mano e portare l’interlocutore verso il particolare, come fa una luce spot in teatro. Illuminarlo per un momento…”
😉 bel post, mi riconosco anch’io.
Grazie Mariantonietta 😊
Le parole oltre che il loro significato materiale, hanno anche il senso del loro suono, nascono nello spirito della musica al potere evocativo delle loro sillabe e ombre, e delle ombre nascoste nelle loro sillabe.
Giacomo Debenedetti
Hai colto un aspetto delle parole che mi affascina molto: il suono. Non so se sia prima venuto il cantare oppure il parlato piano, che con la giusta dose di passione e pause è esso stesso musica. Il suono diventa senso, ed è profondamente vero che genera un’ombra morbida o aspra, parallela e complementare al significato. Il silenzio, la sua durata, l’enfatizzare la parola successiva. Tutto difficilissimo da rendere nella scrittura. Grazie .marta per aver spalancato una finestra 🙂
E’ vero come diceva l’insegnante che è necessario farsi capire. Ma ci sono parole, e spazi tra le parole che diventano note. E chi legge, “ascolta” tra le righe.
Ed è in tutto l’insieme tra parole, spazi, punteggiatura … si riesce bene a coglierne il senso senza fermarsi alla sola, sterile (a volte) parola.
PS: da notare come la parola “sterile” abbia un pessimo suono, oltreché…significato. Usata quasi apposta. La parola stonata —
Hai ragione Marta, sterile evoca l’assenza, anche nel suono, non il silenzio che è ben più morbido e avvolgente. La mia insegnante mi voleva bene e accettava anche l’anarchia dei miei pensieri compensandola più per le promesse che per i fatti. In questo le sono rimasto fedele, cercare di sviluppare qualche promessa un percorso.
Pur diventando sempre più orso da parecchio tempo contempero me e gli altri, anche nelle parole, ciò che ne esce è sempre parziale ma almeno cerca un senso.