Cos’è
che ti toglie il sorriso,
fruga nella tua giornata,
e mescola il sospiro?
Aria e pensieri,
che compagnia greve ti segue…
Finché,
la notte,
s’ accoccola stanca su te,
impasta il sonno,
con morbide zampe di gatto
e piega alla speranza:
domani.
Cos’è
che ti toglie il sorriso,
fruga nella tua giornata,
e mescola il sospiro?
Aria e pensieri,
che compagnia greve ti segue…
Finché,
la notte,
s’ accoccola stanca su te,
impasta il sonno,
con morbide zampe di gatto
e piega alla speranza:
domani.
Figlio caro, questi anni sembrano non finire, non ci sono certezze, mentre vorrei per te una stagione di grandi speranze. Vorrei che la tua fosse la migliore delle età, la prima di altri tempi e stagioni buone. Come quando eri bambino, la sera, vorrei raccontarti le storie in cui entrambi credevamo, usare le parole squillanti di speranza che trovavamo al mattino e invece la speranza è una conquista quotidiana, che ha bisogno di riflessione per farsi trovare. Non è che non ci sia, ma ora c’è una fatica della speranza che la mia generazione non ha conosciuto. La nostra era speranza che non solo alimentava il fare, ma faceva trovare occasioni vere, lavori solidi che permettevano di costruire futuri e progetti, ed era lì, ogni mattina che ti attendeva. Per questo forse potevamo criticare così profondamente il sistema, le convenzioni dei nostri padri, il potere, le parole vuote che ci circondavano. Potevamo ribellarci perché il futuro era a portata di mano, lo si poteva toccare e cercare di cambiare, mantenendone la possibilità che ci riguardava. Quella che vi è stata sottratta è stata anche questa capacità di critica profonda, la possibilità di sperare che cambiando la politica, il potere, cambiassero i rapporti tra le persone, e che insieme si stesse più bene.
Non riesco a capacitarmi come noi, padri, madri, non siamo stati in grado di vigilare mentre il Paese andava a rotoli. Per egoismo, forse, ma ancor più per incapacità di capire, isolati come eravamo, nel pensare alle rivoluzioni tradite, persi nei nostri libri, nella musica che parlava di noi, nel pensare la nostra meglio gioventù, mentre ci sfuggiva la vostra giovinezza, la vostra capacità di creare il nuovo. Noi quel nuovo che cercavate di mostrarci, fatto delle prime difficoltà, non lo capivamo, eppure avevamo e abbiamo bisogno di voi, ora come allora, ben oltre l’amore. Abbiamo bisogno della vostra freschezza, della vostra visione del reale. Siamo diventati ciechi e la realtà ci sfugge e così ci sfugge la percezione di ciò che è necessario fare. Non può essere altrimenti visto che abbiamo lasciato precipitare la situazione al livello attuale. Un Paese, il nostro, nelle mani della vita piccola di un uomo che condiziona alle sue voglie i problemi veri, ecco quello che siamo stati in grado di produrre con il nostro non vedere.
Eravamo già ciechi prima e quando cadde quel muro la polvere invase tutto. Non solo la politica, ma la vita, quella di tutti i giorni. E tu, voi, eravate piccoli, mentre noi pensavamo, non eravamo, pensavamo che sarebbe finito presto, che si sarebbe riaperto tutto dopo gli anni craxiani della Milano da bere e dei rampanti. E che quell’ondata di pulizia, così diversa dalla nostra, che veniva dall’esterno, fosse rigeneratrice proprio per quel suo provenire dall’interno, dai giudici per bene, non quelli fascisti che avevano per decenni insabbiato tutto. Un Paese nuovo senza corruzione né raccomandazioni, e questa cosa riguardava anche te, voi, che eravate piccoli, ma sareste cresciuti in un futuro pulito. Vostro e nostro, assieme. Ci sbagliavamo. Noi, i padri e le madri usi ai cortei, alle manifestazioni, ci sbagliavamo. Quel muro crollato lontano, in realtà travolse noi, non il malaffare e i ladri di futuro, mascherati da giustizialisti uscirono allo scoperto. Chi si era già intruppato ne approfittò per emergere, gli altri, noi, cercavamo di capire. E non capimmo. Le nostre vite si sono riempite di bugie, fuori bugie grandi per occultare, dentro bugie piccole, omissioni, per vedere ciò che ci sarebbe piaciuto. E le bugie oscuravano la realtà.
Mi sono chiesto come questo Paese abbia potuto diventare tanto indebitato e ineguale. Pensa che siamo ineguali come gli Stati Uniti, ma non abbiamo la speranza e la vitalità di quel paese. Sono giunto alla conclusione che l’ineguaglianza è l’indice della perdita della misura del giusto. Dove eravamo mentre la giustizia veniva vilipesa da un uomo che si faceva beffe dei giudici e dei tribunali? Dove eravamo quando le grandi aziende, il sapere del fare cose complicate, venivano svendute? E quando la chiesa riprendeva a dettare le agende di governo, scopertamente, senza ritegno, dove eravamo. E quando cadevano i nostri governi per mano amica, quando non si facevano le leggi sui conflitti d’interesse, quando si taceva sulle quotidiane bugie sull’economia, dove eravamo? Eravamo confusi, sembrava che bastasse attendere e tutto sarebbe passato, che quanto accadeva fosse esterno alle nostre case, che dentro non succedesse nulla. Non era così, Figlio caro, e mentre la muffa fuori ricopriva le cose e le idee, quella stessa muffa penetrava nel nostro modo di vivere. Abbiamo via via accettato l’idea di non essere molti e determinati, ma singoli dentro al nostro naufragio ideologico. Sì, ci siamo lasciati convincere che noi eravamo i naufraghi, il nostro mondo, i nostri valori. Gli stessi che vi avevamo trasmesso e allora abbiamo cercato di proteggervi di più. Ci siamo illusi di potervi bastare, di essere sufficienti perché la muffa non entrasse nelle vostre vite, finché qualcosa, noi o il tempo, avrebbe rimesso in ordine le cose, pulito il mondo comune. Per questo eravamo impegnati a difendervi e difenderci. Ci siamo sbagliati, quel mondo che per noi era sbagliato, stava diventando il vostro. Abbiamo vissuto in un’altra realtà, in altre speranze, ma il mondo vero, in cui agire, era il vostro, quello che diventava sempre più grigio, sempre più chiuso.
Ciò che era stata una conquista, la scuola per tutti, diventava un’ulteriore diseguaglianza tra chi, dopo, avrebbe avuto un “padrino” e chi, invece, sarebbe stato affidato a se stesso. La stessa sanità per tutti, si avviava a non essere tale e diventare fonte di un potere inscalfibile. Questo ci faceva abbarbicare alle cose, al già stato più che immaginare il nuovo. Quello che era il nostro mondo migliorato da tante lotte sembrava non bastare. Eppure noi volevamo per voi vite normali e felici, esistenze che passassero attraverso la realizzazione di sé in una società amica. E invece quel mondo e quella possibilità cambiavano e noi non l’abbiamo capito, forse persi nell’illusione di bastare, di riuscire a conservare il buono raggiunto e cambiare le cose con la volontà.
Ci hanno separato, hanno scisso le vite e la comunicazione, mentre abbiamo bisogno di capire e camminare assieme a voi, di condividere la realtà e la speranza. Quella nuova, quella da costruire. E’ tardi, ma non ancora troppo tardi, non siamo troppo vecchi e tu sei sano, molti di voi sono sani e non ancora rassegnati. Non basta più attendere che passi, abbiamo bisogno di voi, e voi, forse di noi, perché ci sia qualcosa di nuovo, perchè tutto non sia già visto e scontato. E’ con amore che lo penso, l’amore fuori discussione che non impedisce di vedere la realtà.
Il mio può sembrarti un discorso da reduci, ma non siamo tali perché la guerra non è finita e non abbiamo vinta una sola battaglia. Eppoi sono così noiosi i reduci, raccontano il passato e non sanno vedere il futuro. Spero che tu capisca che abbiamo bisogno di voi, che non siete soli, ma dovremo fare uno sforzo per immaginare qualcosa di nuovo, qualcosa che spinga avanti, che ci porti fuori dalle case, che faccia cambiare l’umore del Paese. Ne abbiamo bisogno tutti, voi per immaginare un future che vi appartenga, noi per non aver sbagliato troppo. Per questo ti chiedo di camminare assieme, di riprendere ciò che si è lasciato cadere e che sono i nostri ideali, di unirli ai vostri, in una visione del mondo che sia più grande di noi e che meriti i nostri sforzi, il nostro impegno. Con amore e con speranza.
La notizia buona è che Obama ha vinto.
E’ buona per me e per molti altri, se Romney avesse vinto la notizia stamattina sarebbe stata cattiva. Mi avrebbe cambiato l’umore, la giornata, e non solo, anche le prospettive avrebbe mutato. Eppure gli Usa sono distanti, e Obama non mi ha convinto in questi quattro anni, perché allora è una così buona notizia?
Una notizia buona è tale perché apre una speranza, la consolida, testimonia che c’è una possibilità di cambiamento vicina a ciò che si pensa. Ma questo vale per me, per altri la stessa notizia chiude una prospettiva, fa scuotere la testa e, per loro, peggiora il mondo. Quindi una notizia è buona o cattiva a seconda di chi la vede, in alcuni genera gioia, in altri tristezza. E’ la stessa notizia. Colpisce la poca oggettività dei fatti, anche il loro mutare segno nel tempo: se Obama continuerà a non piacermi, ad essere meno peggio, a non mostrare una diversa visione del mondo e della libertà, quella che era una buona notizia diventerà un fatto negativo, lo spegnersi di una possibilità. Quindi non è il fatto in sé che è buono, è la mia speranza che si apre che è buona, che mi fa cogliere i segni come gli aruspici guardavano il volo degli uccelli o la direzione del fumo. Ma io non sono oggettivo, interpreto, con il mio modo di vedere, il mondo nei fatti, li connoto.
Per questo la vittoria di Obama è buona e mi rende allegro, perché rafforza le mie attese, mi consente di essere attivo nel fare e nello sperare, nell’evolvere e gioire anche del fatto che la mia parte vinca sull’altra. Nella non oggettività dei fatti c’è lo scontro tra diverse visioni del mondo, del futuro e di se stessi, come se i fatti fossero il portolano mobile delle vite, in realtà sono conferme del nostro mondo interiore, delle propensioni che sentiamo e ci costruiamo.
Non saranno quattro anni facili, ma si può sperare di uscire dalla crisi, rimettere in ordine le priorità e far sì che altre energie positive si sollevino nel mondo.
Sì, è una notizia buona per il mio mondo.