Oggi qualcuno, in radio tre, si chiedeva perché e a chi si scrive. Sembrava mi stesse parlando: scrivi per te? E chi se ne frega…
Capisco, bisogna scegliersi un interlocutore. E allora io scelgo te che sei curioso e paziente. Maschio o femmina, ti chiedo di sederti e ti mostrerò le parole che metto in fila. Alcune mi piacciono molto, sono piene di significato e simboli, altre le uso perché sono me, le porto appresso da sempre o quasi, altre ancora mi sono piaciute ma si perderanno, comunque quello che ne esce mi riguarda. Ma qui mi fermo perché la testa è tua e se posso permettermi, quel chi se ne frega, lo puoi adoperare subito, ma è un po’ fascista. Cioè si interessa poco degli altri e in particolare di chi non la pensa allo stesso modo, ha la puzza sotto il naso di chi si sente al disopra. Però se questo è il limite dell’attenzione, allora forse rappresenta in modo improprio, ma bene, ciò per cui uno può scrivere, l’utile ad esempio. Oppure l’attenzione legata a un vantaggio possibile (ancora l’utile). Oppure, ancora, il bisogno d’apparire (che è anch’esso legato ad una utilità personale). Naturalmente ci sono molti altri motivi per cui una persona scrive, ma se guardi bene, il concetto di utilità si troverà spesso. Qui invece c’è molto di inutile, diciamo che al più riguarda i curiosi, i perditempo che si fermano a guardare i lavori e giustamente pensano che li farebbero meglio.
Il rapporto tra chi scrive e chi legge, mi ricorda la fatica di chi guarda, da dentro, l’orologio della torre. Si è saliti per il panorama, ma se si legge l’ora, ascoltando il ticchettare dei meccanismi, è una soddisfazione. Così emerge che, per me è importante ciò che non ha un fine su cui si misurare il successo, e la fatica di leggermi sarà, al più, un andare assieme da qualche parte.
Allora scrivere è distillare parole, lasciare che salga il loro grado alcoolico attraverso il sentire, berle degustando, e pensare ad altro. Ché poi è proprio quest’altro che c’interessa, non l’utile o quello ch’è scritto, ma ciò che ha suscitato.
