Arriva

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Il calendario di Internazionale per dicembre offre un’ immagine ammiccante, il contenuto della rivista lo è meno. Ammiccante, intendo. Per natale si mobilita la musica classica, meglio i cori di voci bianche, le canzoni austriache e le carole inglesi, i violini, e le trombe. Davanti ai municipi, abeti pieni di luci led, nelle strade del centro storico (le periferie restano tali anche a natale) mercatini a spaglio, case di babbo natale, ridde di cianfrusaglie e di biologiche amenità: le regioni in Italia sono soprattutto gastronomia e finto artigianato. Un tempo c’erano gli zampognari, qualche pecora per fare scena, bancarelle di torroni piemontesi in pezzi grandi come massi di granito, molti dolci, colorati con tutti gli E xxx proibiti. Panettone Motta o Alemagna, entrambi con uvetta e canditi e grandi discussioni sulla differenza, freddo intenso, un enorme salvadanaio per il pranzo di natale dei poveri, chiese piene la notte della vigilia. Gli: Speriamo nevichi la notte di natale. Canti tradizionali alla messa di mezzanotte. Senso di caldo, di famiglia, di accoglienza. Ho cantato così a lungo nei cori che quei canti sono per me il segno del natale esterno, e li sento in testa anche ora.

Poi le cose sono cambiate, in edicola, specchio del mondo e delle abitudini palesi o segrete abbondano i numeri speciali delle riviste che un tempo erano sexy ed ora sono solo noiosamente patinate. Nella carta e nelle foto. S’assomigliano tutte, ripropongono ciò che è stato fatto nella stagione del caldo, pelli ambrate e levigate, risposta al gusto medio del desiderio, cose già cucinate e cibi da frigorifero: trist’eros. Accanto ai settimanali, molte riviste di dolci: stiamo diventando o obesi o frustrati, spesso contemporaneamente. Dalle mollette penzolano cd che riemergono ogni anno con le stesse canzoni. Classici e anche in questo caso, anticaglia e fondi di magazzino.  Del resto anche i negozi, sono già in sconto, e ripropongono, ancora una volta i classici, cioè l’invenduto di un anno fa. Di tutto questo ci si può fare una ragione, arrivare persino a sopportare la ressa, la retorica delle parole, i buoni sentimenti di chi è violento tutto l’anno. Per qualche giorno ci sarà una tregua e allora accettiamo le carole senza freddo, le case senza bambini, le strade senza i gruppetti che cantano la chiarastella. Accettiamo le settimane bianche con le ragazze che si abbronzano in paesini da fiaba carichi di neve. Accettiamo anche il cine panettone, basta non andare a vederlo, le candele elettriche, le fiamme nei camini e le grandi tavolate festanti. Accettiamo che i poveri ci sembrino meno poveri, anche se non è vero. Accettiamo che quello che arriva sia di plastica, che l’amore sia senza erotismo e magari senza amore, che ci sembri di vivere in un paese felice. Accettiamolo a tempo, per uscire dall’angoscia di non sapere che fare. Vedo i calendari dell’avvento nei negozi, altra abitudine che non era nostra, ma ciò che mi chiedo è cosa aspettino quelli che li comprano. Ecco, se c’è una risposta questa domanda, tutto il resto si può accettare. 

white christmas

Le lobbie marroni, i cappotti ben sotto il ginocchio, le camicie con i colletti a punta e le cravatte regimental di seta. Attorno tante luci, candele, scarpe nere che si imprimevano nella neve, suoni. Bing Crosby, white christmas, alberi enormi davanti al camino, pacchetti con fiocchi e carta translucida.

Qualcosa mi è sempre mancato all’appello, la soddisfazione piena era un attimo e già sembrava un’impressione. Nei giorni di vigilia, l’immagine americana del natale, qui a nord, veniva tenuta con il dito medio che agganciava il nastro del panettone Motta o Alemagna (io preferivo il Motta), c’erano saluti frettolosi per il gelo, mucchi di neve, chiazze di luce ben distanziate, sotto i lampioni. In periferia un freddo che faceva rintanare nelle case, finestre con luce gialla che si chiudevano al tramonto, fango, tanto fango, dappertutto.

In centro, i negozi erano pieni di luce sotto i portici. Ero contento di abitare in centro, ascoltare gli zampognari, e anche solo vedere i giocattoli era un vantaggio rispetto alla campagna che non aveva né luci, né negozi, né vetrine. Anche la neve si sporcava prima in campagna. Quindi se  non mi piaceva white christmas, me la facevo piacere nell’ illusione di una felicità incipiente.

Insomma ero già contento, ma mi sfuggiva qualcosa, come se l’assomigliare, nella testa, alle immagini patinate dei giornali o della pubblicità, non fosse sufficiente per essere felici. Non capivo che tutta quell’iconografia era la continuazione di babbo natale dopo la rivelazione che non c’era, che non esisteva un italian way of life, che le immagini erano la cornice, ma la storia la dovevo scrivere io. Ecco questo non me lo spiegava nessuno: sembrava tutto fatto ed invece era tutto da costruire. L’ho capito poi, ovvero quasi ci sono riuscito, ma qualcosa manca sempre all’appello.