la diversità

Bersani mi piace quando s’arrabbia. Mi piace quando è autoironico. Capisco anche la sua difficoltà di guidare un partito che è fatto di almeno tre anime e molti rais di varia importanza. Non l’ho votato al congresso, ero con Marino, resto alternativo per la laicità, i diritti individuali, il lavoro, e qualcos’altro, ma è il mio segretario e finché resterò in questo partito, come tale lo sosterrò.

Solo che… Ecco il vecchio comunista che emerge, direbbero, il problema è altro, adesso dirai, per non affrontare le cose nel momento.

Solo che a me piaceva e piace la diversità, la differenza. Ed in questo non ho mai cessato di considerare la lezione Berlingueriana, che diceva che la questione morale è il problema della politica e dell’Italia, e che per essere davvero alternativi non bisogna essere moralisti, ma differenti. L’eguaglianza della legge, dei diritti, è altra cosa, è il codice etico che delimita l’appartenenza, che condiziona le amicizie, le alleanze, che, purtroppo, condanna, salvo brevi periodi, all’opposizione. Ma questa presenza differente, porta avanti l’intero paese, lo rende più giusto, consolida il diritto contro l’arbitrio. Bisogna essere consapevoli di questo, sapere e reinterpretare l’opposizione, il che significa non essere il muro verso ogni proposta, ma la proposta diversa, quella che considera l’onestà e la correttezza amministrativa, il presupposto di ogni vincolo, riforma, diritto imposto per legge.

Dovrei condire i pensieri con molti non, sarebbe pleonastico, capiamo tutti di cosa si parla. Amministrare non è semplice, essere al servizio dei cittadini, neppure, considerare i mandati parlamentari ed amministrativi un’ esperienza politica a termine, difficile, ma la diversità in questo modo di proporsi, assieme al rigore dell’onestà, è quello che in molti ci aspettiamo. La diversità, per l’appunto, quella che mi fa dire che non è vero che sono tutti eguali, che esiste una alternativa, che la differenza tra furbi e intelligenti, onesti e consenzienti, esiste.

Bene fa Bersani a querelare, il Pd non è l’ndrangheta, bene fa a stabilire i confini tra l’azione della magistratura e il ruolo dei partiti. Conta di più la prima che deve fare il suo lavoro e mantenere la fiducia dei cittadini nella legge.

Gli chiedo solo un passo in più: la sospensione automatica dal partito e dalle cariche degli indagati, compresa la loro candidatura in qualsiasi elezione. A loro la libertà piena di difendersi, al partito la serenità che se ci sono comportamenti devianti, immediatamente saranno isolati e resi inoffensivi.  Capisco che qualche ingiustizia verrà compiuta, ma i benefici saranno grandi.

Diversità, un luogo in cui pensare che la società sia riformabile, orientabile verso i principi. Questo vorrei, non l’affermazione che siamo eguali e solo un po’ più rigorosi.

Se non ci va bene, si può sempre scegliere di andare altrove, no?

modesta proposta per abolire le province

Un po’ ne parlo per correità e cognizione di causa. Sono stato consigliere, assessore e vice presidente di provincia. Un po’ per conoscenza della percezione pubblica. Solo l’opera per il riconoscimento dei garibaldini in congedo, è più distante dagli interessi quotidiani delle persone, rispetto alle province. Quindi se scompaiono il dolore sarà sopportabile.

Ma non è facile e le province qualcosa la fanno et quinci, senza menare il can per l’aia, passo alla proposta: poiché per abolire le province serve una legge costituzionale, che ha la stessa facilità dello scalare il cervino in inverno senza giacca a vento e guanti, per ricondurle alla percezione pubblica, basta togliere competenze, personale e fondi, ridurre i consigli provinciali e le giunte, con una legge ordinaria e amen.

Cosa lascerei alle provincie? Le strade provinciali, il piano urbanistico provinciale, l’ambiente e lo sviluppo economico, il marketing territoriale. E basta. Con due assessori e un presidente, che conterebbero il giusto, cioè poco, con il controllo e l’indirizzo di un consiglio provinciale composto da sindaci, si farebbe tutto. Il resto: scuole superiori, caccia e pesca, cultura, scuole professionali, categorie protette, ecc. ecc. tutto ai comuni, protezione civile compresa. Patrimonio, contributi, tassazione ecc.,  tutto ai comuni. 

Accanto a questo provvedimento ne farei un’altro, dove i comuni al di sotto dei 3000 abitanti devono scegliere con chi accorparsi e fondersi entro le prossime elezioni amministrative.  Questo per avere servizi che siano eguali per i cittadini. Sotto una certa dimensione i diritti individuali e collettivi diventano aleatori, ed è impossibile per un piccolo comune dare quello che può dare un paese o una città.

Qui mi fermo, ma solo la sfoltitura di sindaci, assessori, consigli provinciali e comunali senza togliere, anzi aggiungendo, efficienza, darebbe un segnale importante ai cittadini per rimboccarsi le maniche e provare ad uscire dal pantano in cui siamo finiti.

Infine, modesta proposta al mio partito: 

Ué Bersani, lascia stare le distinzioni, i ragionamenti sottili, scendi tra noi, siamo qua. Se si devono abolire le provincie e la proposta è presentata rozzamente da quell’intellettualmente ruvido di Di Pietro, vota a favore e basta. Dopo farai tutte le distinzioni, troverai il miglior modo di fare una legge costituzionale intelligente, lo picchierai in transatlantico, ma intanto manda un segnale a questi ignoranti di finezze giuridiche che semplicemente non ne possono più. Attendiamo con fiducia un segno di vita non aliena. Grazie Bersani, provvedi. Grazie.

Meglio

Gli italiani non ne possono più dei politici italiani.

E’ una buona notizia perché vince la richiesta del nuovo in politica.

Chi è nuovo davvero, si faccia avanti, si impegni.

Meglio se è giovane e pensa agli altri.

Meglio se ha cuore e cervello.

Meglio se capisce chi non la pensa come lui, ma non cambia idea ogni giorno.

Meglio se ha amore per la casa comune.

Meglio se ha rispetto delle regole e delle istituzioni.

Meglio se vive nella vita reale e non nei palazzi del potere.

Meglio se considera i giovani, il lavoro, la giustizia, l’eguaglianza, la scuola, la solidarietà come priorità del Paese.

Meglio se non ama il potere più dei cittadini.

Meglio, ma non solo, perché c’è da fare molto per tutti.

C’è una buona aria, adesso mandiamo al mare il signor b.

Per sempre.

Noi andremo quando possiamo, perché bisogna lavorare.

in fondo

In fondo l’annuncio più importante che attendiamo, oltre gli stessi referendum, è:

E’ STATO RAGGIUNTO IL QUORUM.

E questo, non solo per assonanza, significa che questo Paese un cuore ce l’ha, anche quando non gioca la nazionale.

Sul significato del risultato politico, vorrei invece esprimere una speranza: non appropriarti del risultato, opposizione, è un segnale anche per te.

E’ importante essere dalla parte giusta, ma non basta. Quello che a me dice il voto ripetuto di questi mesi è la necessità di cambiare. Ovunque, a partire dall’offerta politica e dagli attori. Di essere nuovi, perché sperare esige novità, di non inglobare il dissenso come consenso.

Si può fare. Ancora una volta a chi vuole cambiare viene data una possibilità. Per favore non buttiamola via, usiamo questo vento per andare avanti davvero.

Magari finché scrivo il quorum è stato superato davvero, magari.

E’ bello pensare che qualcosa di positivo sta accadendo.

green economy

Il rosso lamiera, da arrogante, sbiadisce senza decidere. Il giallo sporca, accontentandosi di riflessi, il blù sfuma verso l’avio e solo il grigio impavido resiste. Per lui sporco è già aggettivo identificativo, ma in realtà, attende spray misericordiosi di segno e di colore. Banali anch’essi nella loro ripetitività, Basquiat da queste parte non ha avuto eredi, solo l’inox, freddo nobile conscio, ostenta: non ha mai legato con nessuno.

La pioggia lava e il verde d’alberi, erba ed edera, rifulge. Colore un tempo difficile, il verde, ora sembra amico mentre evoca e mistifica. Non lui, ma le architetture, i passaggi d’alluminio e acciaio, i vetri sporchi, le strutture nate ruggini. Non acciaio corten, proprio ferro da fonderia, ferrazzo da rifusione e ganga, perché non è più tempo d’esili colonnine di ghisa, di pensieri da forgia. Tutto s’è seppellito nel secolo breve. Breve e ricco, Di visionari, fabbri d’anime e strumenti, note, parole, invenzioni, testi. Allora sì, fare pensieri multimediali e rappresentarli in piani scorrevoli tra loro, anche nell’intersecarsi, era complicato.

Vi do una cattiva notizia: è stato inventato tutto nei concetti fondamentali, adesso va di moda l’evoluzione del dettaglio. Qualche spirito libero s’esercita nel deserto: non farà danno. Basta lasciarlo dov’è, difficile da raggiungere anche per i curiosi. Vedete, guardatevi dentro, s’è perso l’elogio del brutto, del possente, dell’ordinato, del meccano che dalle teste trasmetteva moti oculari. La torre Eiffel è brutta, è un ammasso di ferraglia, basta finalmente dirlo, anche il colosseo è un ammasso di pietre squadrate, e San Pietro è sproporzionato per la vista e piccolo per l’ambizione di contenere le anime. Ma non sono banali- Perché elogiare il banale e prendersela solo con i monumenti ridicoli contemporanei? Prendetevela con il bello che non nasce, chiedetevi perché. Alemanno ha accettato un monumento banale? Colpa sua. Come si educa l’artista, se non si rifiuta. L’elogio del brutto è processo consapevole, militanza, fatica, ed invece anime tiepide, accettano, non dicono, si astengono, si voltano altrove. Per convenienza, mica per altro.

Possiamo continuare e dire che la caban di Le Courbusier è il nostro sogno, perché i sogni sono domestici, e nei geni sono ancora più domestici. Solo chi non ha sogni, ma solo voglie e desideri, deve rivestirli d’infinite pietre, d’infinite scopate, d’infinite finte trasgressioni. Nella furia iconoclasta della giovinezza tentammo di togliere lo champagne al genio, a Strawinsky o Picasso o Gadda o Hemingway, ma erano già morti, e per fortuna non se ne accorsero. Neppure le star intelligenti d’allora se ne accorsero, mettendo allegramente i fegati sotto alcool e chiacchere.

Basta non è tempo d’iconoclasti. Adesso è il verde che evolve e lega il pensiero, quello furbo e quello disinteressato. Ed io, che non ci penso, mi commuovo davanti ad un tiglio, al suo profumo. Lo ringrazio di nobilitare scelte di appalti a valore apparente e decrementante. 

Vi do una buona notizia:  stato inventato tutto, basta legare e perfezionare, leggere finalmente i manuali accumulati, adoperare le release esistenti, aspettare che i bambini crescano anziché buttarli via con i catini. Si può far fallire la apple, la bmw, la mondadori, la sony, il consumismo. Leggere tutto, sfruttare i sistemi operativi, andare al cinema, ascoltare musica dal vivo.

Il verde lega e nobilita, perfeziona legni, giri di vite e colle. Se si calpesta è tollerante, se ci si adagia è meglio.

E’ verde e se si guardano i conti non è neppure tanto economy, è la strada. Una strada. E tanto basta per mappare e ricostruire il mondo, così che sembri nuovo. Ma qual’è il bilancio vero  di questo verde che riempie le bocche? Su questo, come su molto altro, bisogna svoltare l’angolo dell’apparenza, puntare alla sostanza delle cose, accettarne la durata. Pensateci, green economy è accettare la durata e la funzione delle cose, siete pronti? 

p.s. el me par novo. Mi sembra nuovo. Non ci sarà mai nulla di così forte nella lingua come il dialetto e parere è un verbo nobile, anche nella negazione.

salmoni al referendum

La democrazia, la verità, le notizie, il capitalismo, l’ingerenza del denaro nelle cose semplici della vita. A proposito di nucleare, acqua, legittimo impedimento e molto d’altro ancora. Troppo facile parlare solo di Fukushima, dove la notizia sotto la notizia è doppia e cioè che davvero non si sa cosa stia accadendo e che quello che viene detto è comunque deviato dagli interessi politici ed economici. Quell’incidente ci parla del mondo, non solo del nucleare, di come l’economia modifichi le nostre vite, le percezioni, il rapporto con la democrazia.

Capisco allora che questi referendum riguardano la nostra idea della vita, ovvero come viviamo e come vorremmo vivere, le fandonie che ci raccontano, l’egoismo generazionale che viene alimentato nell’idea che basta consumare perchè una soluzione si troverà. Sotto c’è una preponderare dell’economia deviata intesa come baratto tra una promessa di benessere ipotetico, da scambiare con un  esproprio sottile, continuo di ciò che è di tutti verso pochi gestori, possessori, proprietari. Un poco d’acqua in meno, un poca di proprietà pubblica in meno, un poca di energia in più, un po’ di diseguaglianza in più. Viene sottratto quello che, apparentemente, sembra non contare molto, quello che è già di tutti ed è parte di un’immutabile non costo apparente. Vorrei rassicurare i dubbiosi: so parecchio di quanto accade nel pubblico e nella gestione dell’acqua, degli sprechi e privilegi. Come pure del nucleare so apprezzare pregi e difetti, prima dei rischi. Per questo la mia è una scelta ideologica che non si basa sul mero conto economico, ma sul modello di mondo in cui vorrei vivere. E in questo mondo l’acqua è pubblica, il pubblico è imprenditore efficiente dei beni essenziali, l’energia si risparmia, il nucleare è una tappa della conoscenza, ma non serve per consumare di più. Anche il legittimo impedimento, non è legittimo in questo mio mondo, sapendo che cedere l’eguaglianza e la giustizia significa cedere la libertà.

Mi piace pensare che questa sia l’era del salmone che risale torrenti del conformismo peloso e cerca acque pulite.

Mi piace pensare che questo vento che si è levato sia la volontà di riprendere in mano ciò che davvero si vuole e non lasciarlo gestire ad altri.

Qualche anno fa, in questo paese, avallato nell’idea di modernità che coinvolse destra e sinistra, il capitalismo nostrano anziché occuparsi di maglioni, meccanica o chimica, ha iniziato silenziosamente l’acquisto dei servizi. Prima le banche, poi il trasporto su gomma, poi la telefonia, poi le autostrade, poi il gas e ciò che doveva essere liberalizzazione diventava privatizzazione di un monopolio. Non libera concorrenza, ma alleanze, cartelli e prezzi che crescevano in un mercato garantito. Con una variante in più, che con la tariffa futura si pagava l’acquisto dell’impresa. Come dire che erano in realtà gli utenti a pagare il costo dell’acquisto della società. Un’ imprenditoria senza coraggio d’innovazione e manifattura comprava con la forza dei rapporti con il capitale finanziario, e i soldi degli utenti, i servizi. Una rendita sicura per sempre. Solo che il paese diventava sempre più povero di patrimonio, e i cittadini diventavano sempre più poveri di risorse. Una gran parte delle risorse private si è rivolta in investimenti destinati a far denaro anziché crescita del paese, surrogando compiti e privatizzando rendite di posizione. Siamo diventati, più ricchi? Più liberi? Si sono dette più verità?  Il paese ha una prospettiva di crescita economica? 

Io penso che così non sia stato e votando 4 sì ai referendum, sento che il significato va ben oltre l’oggetto referendario. Mi torna a mente la sapienza vitale del salmone che risale le cascate per trovare acque pulite, ovvero il mondo in cui vuol vivere e crescere.

E mi sento più forte e determinato nel pensare che un’ideologia nello scegliere il mondo in cui si può vivere è avere un’idea di sé e di ciò che si vuole, non una prigione in cui mi viene impedita la libertà. Anzi. 

la parola della settimana: italiano

 

Come a bridge facciamo la dichiarazione: mi sento italiano e su questo sentire gioco la mia partita.

E per essere italiano non ho mai rinunciato ad essere profondamente veneto, all’amore per la mia lingua madre, ma non sacrificherei a questo amore per dove sono nato, la mia appartenenza all’Italia.  Nell’amore si appartiene, si porta la propria libertà e si chiede attenzione e rispetto per questa libertà. Si prende e si dà senza fare il conto. Se non amassi l’Italia non mi arrabbierei tanto per il vilipendio dello Stato che si perpetra quotidianamente, non soffrirei perché a questi cittadini viene negato ciò che a me è stato dato, ciò che era possibile ed ora sembra consegnato all’arbitrio. Non mi incazzerei se i diritti fossero eguali, se non sentissi la profonda ingiustizia che non aiuta chi è in difficoltà, se non fossi coinvolto dalla sofferenza di una parte grande del paese consegnato alla criminalità.

Questo è il mio Paese, lo è a dispetto di chi vuole dividerlo, a dispetto degli egoismi, delle acrobazie di chi fa finta di non vedere che non si può essere ministri di uno stato che si vuole fare a pezzi.

Questo è il mio Paese, è il mio luogo e nessuno me lo può sottrarre, potranno rendermi la vita difficile, scacciarmi, ma resterà il mio paese e ciò che gli devo, non lo devo ad un feticcio, ad una bandiera, ad un inno, ma a me stesso, al mio appartenere a qualcosa che è più grande di me, più alto per possibilità e futuro.

Non mi interessa discutere molto dell’unità, neppure se sia la lingua o la televisione che ha unito il Paese, so che questa unione è stata un riconoscersi che si è fatto strada tra ingiustizie, sopraffazioni, delitti. Lo so e penso che tutte quelle ingiustizie commesse sarebbero senza senso, se non ci fosse un risultato positivo. Nessuna ingiustizia attuale sanerebbe le ingiustizie di allora.

Mi commuovo quando cammino in altopiano, nell’isontino o sulle dolomiti. Le trincee, le pietre, i residui di quella guerra mi parlano di uomini che a malapena si capivano, che senza eroismi particolari, mai volentieri, andavano all’assalto nella più inconsulta delle guerre. Erano già italiani, erano persone del sud accanto ai miei nonni veneti. Uniti, dalla vita prima che dalla morte. Penso al senso di quelle vite, all’ingiustizia di quelle morti e li sento vicini. Uomini e italiani come me.

Cosa motiva una persona nella tragedia e nella gioia: l’essere uno e molti assieme, uniti. Non occorre un terremoto, basta una vittoria sportiva, uno scienziato per far emergere questo sentirsi parte. Voglio estrarlo coscientemente questo essere parte di qualcosa di più alto, continuare a sentirlo ogni giorno per indignarmi contro chi massacra la percezione dello stato, voglio continuare a sentirmi diverso e non massa, ma italiano, essere della nazione e volere lo stato. Essere Italiano per me è questo, oltre la retorica del momento, oltre i simboli, oltre le mie limitatezze, oltre la presunzione e il dubbio di essere nel giusto. Per questo non capisco le ipocrisie politiche, non comprendo il relativizzare i comportamenti, le furberie tra furbi. In quale paese un partito secessionista sarebbe al governo, potrebbe dispregiare i simboli comuni, dichiarare la non appartenenza allo stato e governarlo?

Mi sento e sono italiano perché qui voglio esercitare la mia libertà e metterla in comune con le altre, perché i valori che hanno tenuto assieme questo paese prima della sua nascita erano già così alti da essere riconosciuti come italiani prima che la nazione esistesse, voglio essere italiano perché è un mio diritto esserlo e nessuno me lo può togliere. Lo stesso diritto che ha, chi vuole appartenere a questo Paese, e sente di essere per sé e per gli altri, unito in un progetto comune, in una solidarietà di intenti. Questo è quello che penso ora che giovane non sono più e che pensavo anche quando il nazionalismo non mi piaceva, come non mi piace ora, quando lo stato sembrava opprimere, eppure toglieva meno libertà di adesso, quando la bandiera sembrava un limite più che un orgoglio, ma all’estero mi piaceva vederla e dirmi italiano. Allora i nazionalisti erano i fasci, noi eravamo internazionalisti, ma non smettevamo di essere italiani. Nessuno se lo dimenticava e la passione di allora era per i diritti e l’eguaglianza in questo Paese e nel mondo, come diritti dell’uomo.

Passione, diritti, doveri: per amore si appartiene e non per altro.

 

dies irae

Due caccia bombardieri libici si rifiutano di bombardare i civili e atterrano a Malta. Se fossero atterrati in Italia, in forza degli accordi con Gheddafi, sarebbero stati riconsegnati a Tripoli.

Ma l’Italia chi sta proteggendo? Da che parte sta la democrazia, con Gheddafi o con chi protesta e viene ucciso? Quanto contano i principi di cui ci riempiamo la bocca e che giudichiamo inalienabili per l’uomo?

Le forze aree sono allertate, casomai qualche pilota volesse disobbedire agli ordini di bombardare i civili e chiedesse asilo, gli aerei saranno intercettati nello spazio aereo italiano, accompagnati a terra e riconsegnati alla Libia con i piloti.  

Nel frattempo si discute dell’immunità dei parlamentari italiani, che è in sostanza l’immunità del presidente del consiglio.

 

 

grazie Presidente Napolitano

Il presidente della repubblica, il vecchio “comunista” Napolitano, continua ad assicurare una dignità spendibile dentro e fuori l’Italia ai cittadini di questo paese. Di questo bisogna ringraziarlo ogni giorno perché in Lui, riconoscono un’Italia diversa da quella degli scandali, della mafia, delle barzellette, delle corna e dell’improvvisazione.  Per una parte del Paese, il fatto di poter dire che c’è una zattera su cui salire con dignità, permette di avere speranza.  Lo dico senza piaggeria visto che non di rado non ho condiviso le sue posizioni nei comuni partiti ed oltre.

Ciò che non capisco è l’onestà intellettuale dei molti convinti liberali che ogni giorno leggono giornali su cui assentono.Magari questi giornali si chiamano Libero e il Giornale, oppure altri, non importa quali, ma s’informano. Sono persone per bene, persone che non considerano l’onestà un optional, che hanno un senso civico forte. Magari non avranno molta solidarietà, forse si fermano alla carità della san Vincenzo, però il dovere sanno cos’è. E seppure mai tranquillamente, quando si sono scontrati con quelli come me che argomentavano, non rifiutavano la discussione. Allora, mi chiedo, ma cosa diranno queste persone, quando il signor Berlusconi continua con le sue tiritere sui comunisti e i giudici per mascherare i problemi irrisolti e l’incapacità di governo, cosa diranno dell’insensatezza della spaccatura del Paese, cosa diranno del continuo mercimonio di corpi e di voti che viene proposto come naturale estensione della politica.

Magari diranno che Napolitano è un comunista, ma diverso, che da vecchi si cambia, che non si è opposto all’invasione dell’ Ungheria. Diranno questo ed altro, ma sanno che non ha mai rubato, che ha avuto rispetto degli avversari, non ha avuto bisogno di rifiutare giudici e di invocare impedimenti inesistenti, allora, per favore, non occorre che si convertano, basta che diano a ciascuno secondo merito e fatti.

Grazie Presidente Napolitano.


il senso della crisi

Credere non basta più.

Facciamo finire il tempo senza nomi,

le comodità del già pensato,

torniamo alla conseguenza del vedere,

del sentire,

al valore del gratuito.