variazioni sull’otto marzo

prima variazione:

Si può essere commossi e calmi? Sì, se ciò che si è subito ha talmente imbevuto la vita da diventare permanente parte di essa.

Con voce commossa e calma, enuncia lo stalking subito per sei anni, le minacce fisiche, le percosse, il pericolo di morte. E accanto a questa condizione assurda del vivere, enumera le denunce, la diffidenza incontrata, i tentativi di dissuaderla dalle querele, l’atteggiamento e l’insensibilità incontrate, divenuti essi stessi, percossa e violenza. Il tentativo di convincerla a capire più l’aggressore che lei stessa in nome di una inesistente unione e amore. Una parola pesante emerge tra le altre, la connivenza che è parte dell’istituzione e rende compatibile socialmente l’abuso. Anch’essa parte del torto e dell’abuso subito. Poi il racconto continua con il positivo incontrato, le persone sensibili delle associazioni di aiuto contro violenza, un graduato di polizia che capisce e chiede scusa a nome dello stato. Il narrare è sereno, ma non scompare del tutto la piega amara della voce, delle parole. Poi, l’epilogo, che non è tale, verrà col processo dopo sei anni di sofferenza. Ma non ci sarà processo, perché nel frattempo il persecutore è morto. Tutto derubricato quindi? Finito? No, perché la vittima per fortuna è viva, ma deve ricostruirsi, inglobare la violenza subita in una visione positiva di se stessa, terapie per riaprirsi alla speranza, al rapporto con gli altri.

Si può essere commossi e calmi nella voce e trasmettere, proprio attraverso la calma, il carico di dolore in atto e quello trascorso. Questo insegna, fa riflettere, rende lampante l’inadeguatezza delle parole di legge e dei comportamenti che esse generano. Non si tratta solo di sentirsi in colpa in quanto genere maschile. A che serve la colpa se non è accompagnata dal suo superamento? Bisogna essere consapevoli, e questo riguarda tutti, capire che la violenza è tra noi e che, se non la vogliamo, bisogna, non solo emettere leggi, ma fare in modo che essa non sia accolta, analizzata, resa comportamento, giustificata, relativizzata, messa in conto come danno collaterale. Non c’è nessuna guerra in atto tra i sessi, c’è solo una questione di rapporti ed eguaglianza che dev’essere modificata nella cultura, nella percezione. A partire dalla mia cultura, dal mio intendere la presenza femminile ovunque nella società.

seconda variazione:

La ragazza ha meno di vent’anni. Stringe tra le dita un mazzetto di mimosa molto sciupato. Eppure se potesse liscerebbe gli steli, gonfierebbe i fiori sino a renderli turgidi come appena colti. Lo ripara dal sole con la mano mentre cammina veloce. Potrebbe metterlo nello zainetto, ma si sciuperebbe ancora di più. Rivolge i fiori verso il basso, cerca una fontana per bagnarli e poi ogni tanto li rialza per controllare se si riprendono. Di certo li ha ricevuti da una persona per lei importante. Così ha collegato la giornata di festa che la riguarda con un atto di affetto. Forse d’amore.

Si vive anche di simboli e di gentilezza, almeno per una giornata. Ci penso poco a questo. Mi ha sempre infastidito l’insistenza avida dei fiorai, l’attenzione pelosa del donare obbligato dal conformismo che si chiude in un giorno. E al pari m’ infastidisce l’ignoranza liberatoria delle pizzerie, dei night a spettacolo invertito nel genere. Anche la risata grassa e ricca di doppi sensi mi dispiace perché ad essa corrisponde quella maschile. Mi sembra di mettere assieme la parte bassa della libertà. Eppure anche in questo c’è un passo avanti, una liberazione d’accatto ch’è poco o nulla, ma è sempre meglio del bigottismo precedente.

Un fiore, anche virtuale, tutto l’anno per ripristinare la mimosa sciupata. Ogni giorno, la predisposizione a dare gesti di cura. Anche un abbraccio può servire. Un abbraccio lungo, caldo e silenzioso. Ricco di sottointesi e appena colto dall’albero del bene reciproco.

terza variazione:

Li ho visti l’altra sera in televisione, ripresi e commentati con la levità empatica dei conduttori che mette in luce, non l’immagine di rapina del fotoreporter, ma una quotidianità assurda, sofferente. Sono le donne e i bambini della rotta balcanica. Passano la giornata in fila per un panino e una bottiglietta d’acqua, attendono che qualcuno possa passare. Inermi tra gli inermi. Donne avvolte in lunghi abiti neri oppure con gonne corte colorate, che stanno in attesa e altre arrivano. Si sistemano in tende fragili, estive. Tutti nella stessa condizione, pur venendo da diverse esperienze di rapporti familiari, di vita e di prospettive.

Non credo che oggi abbiano distribuito mimosa nel campo, sarebbero bastati i panini con un minor tempo d’attesa. Chissà se per loro prima esisteva un otto marzo, comunque non ci pensano ora. Non loro, non i tre milioni di profughi in Turchia, in maggioranza donne e bambini. Non il milione e mezzo stipato in Libano (ma forse quelli stanno meglio che con Erdogan). Non gli oltre 350.000 somali in un unico campo di tende a Dadaab in Kenia. Non l’indeterminato numero alle soglie del Sahara o sulle coste libiche. In maggioranza sono donne e bambini che attendono e mostrano la nostra vergogna.

Qui il genere scompare: quante donne che festeggiano l’otto marzo pensano che l’esodo dev’essere un problema che si risolve in occidente? Penso alle donne perché gli uomini su questo hanno gesti sbrigativi, considerano che i danni collaterali fanno parte della realtà. Poi si sa, che i maschi se la cavano, anche quando emigrano. Anche nel morire se la cavano, ma le donne come fanno a tenere a bada la paura e il dolore per i propri figli, per sé, per i compagni? Come in questi giorni in Calabria, chi penserà a loro, a ciò che hanno patito sino al viaggio estremo. Chi piangerà i loro figli, i familiari, loro stesse, ormai prive di vite sono state oggetto di discussione mentre serviva soccorso, umanità. Le sopravvissute ricostruiranno le culture, i nuclei di relazione, l’amore, anche se non viene loro permesso di avere un futuro. La mia amica danese mi dice che in Danimarca non si festeggia l’otto marzo perché i diritti delle donne sono una cosa normale. Ma per chi valgono i diritti basilari? Quelli semplici, da cultura laica o religiosa: accoglienza, rispetto, eguaglianza, sono riservati a chi ha cittadinanza e basta. Si è parlato molto a lungo di radici culturali da inserire nella costituzione europea. Questi diritti erano ricompresi, a partire dalle presunte radici cristiane. Che fine hanno fatto alla prova dei fatti? Sparito tutto. Forse anche per questo l’otto marzo non è proprio solo una festa commerciale.

5 pensieri su “variazioni sull’otto marzo

  1. Grazie alle donne, grazie tutto l’anno, tutti gli anni. Grazie per ogni amore dato, ricevuto, sciolto nel vento, bruciato e ricreato. Grazie per ogni parola, sorriso, speranza, silenzio e lacrima versata. Grazie, sempre, ovunque, mai sufficiente: grazie.

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