Certamente moltissimi stanno peggio, ma ognuno sente il suo e con acribia persegue un motivo che trovi il bandolo nella ragione. Non lo trova, oppure gli pare e poi si accorge d’essersi sbagliato perché era qualcosa che veniva prima: nell’amore sghembo ci sono le ragioni dei preti e delle suore, le famiglie che hanno trasmesso ciò che gli sembrava giusto ed era solo conformismo, ma anche l’indole non ha aiutato. Così alla fine finisce, ovvero sembrano finire i dispetti, le privazioni, le offese per disattenzione e quelle volute, ma in realtà la liberazione è solo apparente perché inizia un’altra battaglia. Ci sono frutti che devono avere una radice e quando questa la si cerca davvero, muore l’albero. Poi c’è tutto l’apparato sociale. I codici e gli avvocati, i periti di parte e le decisioni dei giudici. E nessuno sa cosa c’entrino in tutto questo se non in un dare/avere che dovrebbe stabilire equità, possibilità di ripartire. Ma non funziona così nello sciogliere. C’è una parte civile ed una umana, personale che non coincidono mai. La prima è un equilibrio col passato, un mettere una pezza sociale per qualcosa che non è pubblico ma privato e avrebbe bisogno di un accordo non di una divisione perché essa c’è già stata, qualcuno ha perduto e ciò che è rimasto sono i viventi che pur hanno dei diritti. La privazione si esercita nell’accanimento, nell’ingiusto, nel voler schiacciare, manu militari, l’altro in modo non da lasciarlo vivere ma punirlo. Neppure questo accade e non è materia di giustizia ma di sociologia familiare. Questa dovrebbe, assieme alla psicologia stabilire le regole che servono per riprendere un percorso che includa il cambiamento e la felicità. Per il resto dovrebbe bastare un ragioniere e una codifica accurata.
Penso che chi infligge all’altro delle pene, fa delle cattiverie o tratta l’atto come “un altro “ in realtà non abbia mai davvero amato: ci si può allontanare, lasciare, separare ma non si può uccidere l’altro, neanche metaforicamente. L’idea di possesso penso sia alla base di tutto il male, mentre l’abitudine, la svogliatezza o forse la fatica della vita rende, a volte, trasparenti chi ci sta accanto o noi stessi.
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Credo tu abbia profondamente ragione Lavinia, la privazione del sé e le cattiverie sono assenza di amore. Altre cose ma non amore