C’è un tempo in cui le promesse, le fanfaluche, le stesse parole vengono a noia, nel senso che non fanno più nessun effetto. Pensate se fosse festa tutto l’anno, dopo una settimana non si saprebbe più che fare, così c’è un bisogno di normalità che investa presente e futuro. Mentre si ripropongono i riti della politica: l’eterno congresso del PD, le crisi del M5S, le intemerate di Salvini su provvedimenti che ha approvato e che ora attribuisce ad altri, La Meloni che diventa un gigante della destra, vista la pochezza e l’assenza di un vero partito liberale conservatore, la fine patetica del berlusconismo, ecc ecc. Tutto annegato tra panettoni offerti a metà del prezzo del pane e povertà estreme che muoiono per strada. Ci si abitua a tutto e non è bene, perché il peggio dilaga e non finisce. Ma questo è un lamento che non produce nulla, non cambia la realtà che dipende troppo spesso da una lettera di assunzione o di licenziamento, non muta la perenne perdita di speranza sull’Italia che riguarda i giovani e quelli che a 50 anni devono inventarsi un lavoro. C’è una progressiva perdita di speranza che accompagna la povertà crescente, è un regalo della meritocrazia e del familismo che ha potere e denaro e quando non lo ha prende a calci chi sta peggio. Ma chi si merita davvero di essere povero, di avere fame, di non avere cura né solidarietà? Invece pian piano si fa strada l’idea che chi non arriva ad avere successo ne porti anche la colpa e che il nemico sia quello che ha ancora meno e accetta di tutto per non morire di fame. Avete notato che di dignità si parla sempre meno, che il lavoro come mezzo per avere realizzazione e vita dignitosa non esiste quasi più ma si frammenta in piccole schegge di appartenenza sociale e poi di rifiuto reiterato? Nella meritocrazia c’è la competizione non la dignità che rende uguali in partenza e durante la corsa. Ci si accontenta duellando col vuoto, di senso, di futuro, di presente, di patria. Casa or è dove si vive e fare lo sguattero a Londra o raccogliere mele in Australia, se ne avrà ancora, dà una dimensione terribile dell’abbandono, della perdita. Nessuno provvede davvero e non resta che competere, mentre i poveri, i deboli, gli esclusi saranno oggetto di carità, se va bene, la dignità si perde pian piano, nella consapevolezza che non siamo comunità ma individui. Terribile vero? Eppure è così e le distanze tra la speranza e la realtà si allungano, questo dovrebbe colmare la politica,, la sinistra in primis, ma anche chiunque pensi davvero che gli uomini valgano qualcosa. E non basta lo dica il Papa, dobbiamo dirlo noi che lo pensiamo. Anche nelle piazze che si riempiono di senza partito e che esprimono questo bisogno di pulizia interiore, di solidarietà che è festa tutto l’anno quando c’è un noi che difende l’io, quando ci si riconosce e si è contenti di farlo.