Rare faville di neve su tetti bianchi. Il caffè l’ho rovesciato. Una tazza intera mentre un biscotto attendeva d’essere inzuppato. La delusione del biscotto meriterebbe Cioran. Come potrei parafrasarlo? Solo nel disfarsi il biscotto trova la sua natura, irrigidito nella cottura eccessiva, come pensiero stantio, si libera nell’intridersi di natura altrui. Ovvero come rendere un’apoteosi la delusione e far dello sciogliersi tra nature una metafora dell’amore. Se l’amore non cambia la sostanza imbibendosi dell’altro, che amore è?
Della vigilia del voto scriverò domani, oggi curo l’anima che non ha vigilie. Un passo di un’epistola in versi di John Donne
Una sospettosa presunzione sta di casa in questo luogo,
e l’avere tante orecchie quanto tutti hanno lingue;
pronti a vedere i torti, lenti ad ammetterli.
indurrebbe al silenzio e a un diverso ascolto: ascolto te oppure ascolto me? Ovvero Ti ascolto per trovare una mia ragione oppure per sentirti entrare con le tue ragioni.
Le ragioni si dovrebbero mischiare come si fa con le carte perché il gioco precedente non si ripeta, ma ogni volta le possibilità facciano il loro lavoro.
Mischiare le ragioni e cogliere i segni e le immagini. Dare un significato alla taroccata vita e fermarsi sui segni per straniarsi dal consueto, dall’apparente.
Posso dire con sicurezza che il caffè versato era peggiore di quello nuovo, ne sono sicuro: era un segno che mi occupassi di me senza distrazione. O forse, romantica presunzione, era un pensiero che scoccato da distante voleva raggiungermi e dirmi qualcosa che dimentico nell’abitudine. Anche la neve, che continua indolente a cadere, è segno di un guardarsi attorno: non ci si chiude in casa se non per paura, ma si resta a casa per scelta e ci si guarda attorno per vedere come si è.
Nel tuo dire esplicito ho trovato tracce d’innumerevoli rintocchi
e l’aprirsi all’amore che, ostentato, era meraviglia e insicurezza,
il timore che sfuggisse l’attimo
dileguando in un richiamo importuno,
o che il dubbio prendesse un posto che non era suo.
Del doman non v’è certezza è l’invito alla pienezza, mia cara,
e il rigetto di ciò che ha scalato il cielo e poi è caduto
ma ora vola, altro dirà di te.
Non ascoltiamo le stesse cose, non leggiamo gli stessi segni, ma ciò non impedisce che nel caffè che si versa io veda un richiamo ad altri caffè non versati, la sequenza di quelli che seguiranno in diversa (versa e diversa hanno la stessa radice che è versus, ossia il part. pass. di vertĕre volgere) e più agevole compagnia.
Non ti curare del senso, che di me io parlo, che ascolto ma odo e si rincorrono le voci della polifonia di Biber.
Odo la neve, odo il segno d’un tempo che scade se messo nell’abitudine, odo l’accento di una lingua che non è la mia. Odo e ascolto la prima neve di una quasi primavera.