non si racconta il ritmo della notte,
mentre s’inceppa nel respiro scivolato dalle bocche,
non lo narrano gli occhi e l’indifferenza inutile d’aprirsi
o socchiudere
in fessure d’immoto rettile.
E cosa cercherebbe il nostro rettile mentre la coda interroga il terreno,
mentre qui sono lenzuola che s’aggrovigliano e non sabbia?
A chi dovrebbero chiedere ragione gli occhi se non alla paura,
l’unico legame che supera le specie,
e diventa smisurata e fluida
nell’imbibire ossa di sicurezze chiare,
nel penetrare foglie, pali e fondamenta
su cui la luce incauta aveva costruito il bello,
il quieto,
l’equilibrio indefinito
che si scomponeva nell’andare
ed era ben presente ad ogni passo,
e ad ogni sosta,
e si ritrovava sicuro nella luce di sé, di noi,
ma non ora.
Nel buio, non c’è ritmo dell’andare
e l’acidulo dell’insicurezza scioglie il tartaro d’ogni fondamento,
toglie lo scandire dei segmenti,
li trasforma in cerchi di gesso,
in vuoti di parole che si rincorrono uguali.
E non chiede permesso il timore,
educa senz’essere gentile,
insegna la somma precarietà di ciò che ci sembriamo
ricordandoci l’impalpabile non essere della solitudine.
E a te, che come un bimbo non sai il risveglio,
temi la continuità dell’amore,
a te che devi allungare una mano per sentirti esistere,
mentre scrolli il buio che ti svuota,
e non balli, non scandisci,
e non trovi le parole esatte dell’alleviare
dico che non c’è un ritmo nel buio,
non c’è una canzone che non sia l’eco dell’andar via,
l’abbandono del cercare,
a te resta il corpo, che si consegna ai piccoli lampi di stanchezza,
la misericordia degli occhi che ora chiudono esausti
per chiamare tregua
e donarti lo sconcluso sonno.
Non si racconta, se ne fa poesia.
Buona notte Enzo e grazie