7 novembre 10/17

In questo scartafaccio che è willyco, si sono accumulati articoli, scritti, frammenti di cui non ho precisa memoria. E questa è una buona cosa: quando rileggo verifico i ricordi e cosa sono diventati. Ma non è solo questo, è il riassumere il com’ero che m’interessa, soprattutto nella sua dimensione pubblica perché l’altra è più personale e la può leggere solo chi ne ha la chiave segreta della conoscenza diretta. Sollecitato da facebook sono andato a rileggere un post scritto 7 anni fa in questo giorno. In esso parlavo dell’autorottamazione politica avvenuta per tempo, parlavo della libertà acquisita e del fatto che la politica è una passione che si manifesta in molti modi, ma che erano finite le attese personali, insomma essermi fatto da parte per tempo e non accompagnato alla porta aveva avuto vantaggi notevoli. In quelle parole che forse allora non erano ancora così serene, c’era una verità personale che verifico anche ora, ossia che si può fare politica per tutta la vita ma non si possono interpretare tutte le stagioni e che l’esercizio del potere è una conseguenza dell’agire politico non la sua motivazione. In questi giorni si discute delle elezioni in Sicilia, della vittoria della destra, della sconfitta di Renzi e del PD, della sinistra che non decolla e non trova l’aggregazione necessaria per essere credibile di fronte agli immani problemi di una società che ha basato sulla paura e l’individualismo la conservazione del benessere acquisito o presunto. Di tutto questo parlare mi interessa poco, e credo che a parte un profluvio di personalismi parlanti non ci sarà nessuna analisi seria di ciò che sta accadendo. Allora mi sono chiesto, come allora, che significa esercitare la mia libertà in una democrazia delegata, quanto essa incida sulla mia vita e su quel noi che è prossimo, che suscita emozione e identità comune. La risposta è che la critica e la partecipazione sono ancora gli unici strumenti che ho a disposizione per esserci in questa società. Che l’identità collettiva è un insieme vuoto se si traduce solo in una presunta liberazione dalle regole comuni, che la politica e l’amministrare sono questioni serie e centrali per la vita di tutti ed esigono competenza e capacità unite all’onestà personale e collettiva. Mi direte, e questo che c’entra con la Sicilia? C’entra molto perché se i numeri del familismo politico sono particolarmente acuti in Sicilia, se l’economia di quella regione è sostanzialmente un’economia basata sull’impiego pubblico, mi devo chiedere quanta Sicilia c’è in me che non ci abito, quanto è stata deviata la cosa pubblica verso l’interesse del singolo, quanto si è giustificato l’illegale per avere un equilibrio in cui tutto convivesse. Facendo questa riflessione mi sono accorto che quanti hanno votato il candidato di destra pur essendo di sinistra hanno fatto un ragionamento di comodo, ovvero quanto quel candidato mi può assicurare in termini di mantenimento dei privilegi e quanto perderei in una modifica radicale di essi? In questa democrazia delegata basata sul calcolo dell’interesse personale si piega la politica locale e nazionale. E si subisce il mondo. Per uscirne servirebbero non lacrime e sangue ma verità e giustizia. Verità per dire le cose che tutti vedono e giustizia per togliere alla realtà una interpretazione che si basa solo sulla forza e sull’arbitrio. In fondo per far questo c’è bisogno di uomini che considerino la parola un vincolo d’onore, che non promettano cose che non sono possibili, che siano di parte e difendano interessi ma con l’onestà di dirlo. Non si può fare a meno della politica, si può scegliere, come ho fatto, di non esercitarla ulteriormente con compiti pubblici, ma si deve essere conseguenti con quello che si pensa, se vogliamo un Paese migliore dobbiamo essere migliori ed eleggere persone migliori, non compari. In questi anni si è consumato un tragico errore ovvero quello che le cose possano migliorare da sole, non solo non è così, ma nessuno saprà proporre una via alternativa se questa non viene costruita e partecipata assieme. Riflettete su questo, dal 2007 anno della più grave crisi economica degli ultimi 100 anni, tutto si è concentrato non su come essere diversi da prima, ma su come uscire dalla crisi per fare le stesse cose di prima. Cioè come ricreare le condizioni della malattia che ha cercato di uccidere nazioni e democrazie. Questo è il senso della politica e del suo cambiamento, mutare le condizioni che hanno generato l’abisso, aggiungere equità e togliere povertà, assicurare diritti spendibili e libertà comuni. Quanto di tutto questo è contenuto nelle politiche attuali in Italia, in Europa, quanto la regione Sicilia o la mia regione, vorranno modificare il loro stato di dipendenza dal favoritismo, come vorranno crescere e mutare le condizioni di vita di chi ci abita. Ecco, queste domande fanno parte della passione politica e non si curano delle parole che sentirò in questi giorni, del teatro in fondo credo non interessi più a nessuno se non agli attori, ma in questo copione noi quanto vogliamo esserci? 

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