Strette strade fuori dalle antiche mura, tra siepi e case
il regno del libero gatto
e dell’indifferente beffa ai costretti cani.
L’aria corre e s’imbeve di rose: a sera faranno gara coi gelsomini di minuscoli giardini.
Qui c’è quiete e grandi storie
un tempo fatte di cura e di centrini,
d’edicole devote a madonne e santi
e di rosari a maggio.
Adesso tra voci incerte e negozi chiusi
si trattiene un vicinato di piccole notizie e stagioni dispettose.
Son passati i grandi amori:
le luci a lungo accese,
le diaspore, gli obblighi affogati nei silenzi,
si sono scrostate le passioni come i muri che mostrano le argille della bassa,
e si son fusi, mattoni e vite, un tempo state
e più spesso consumate.
Fruà usa la mia lingua antica per l’ abito troppo a lungo adoperato,
però ancor comodo come nessuna nuova vita sembra poter fare,
e così nella scelta del mattino tornano al vecchio abito pulito,
come un’abitudine che tiene assieme il giorno
con la notte appena consumata.
Anche da me FRUA’ ha lo stesso significato che dalle parti tue, Will.
Purtroppo però è un termine dialettale oramai in disuso.
Non credo che i giovani (quelli che conoscono e parlano bene il dialetto) lo conoscano.
Lo ricordo detto da mia nonna e tanti anni fa da mia mamma.
Grazie per avermi risvegliato alcuni bei ricordi.
Buona serata e buona notte con un altro sorriso
Ciao
Ondina 🙂
Ciao Ondina, il fatto che lo ricordi detto da tua nonna e che io lo usi ancora, rivela la mia età 🙂
A me piace perché parla di un’epoca in cui le cose compivano per intero il loro uso e si conformavano alle persone. Altro secolo 🙂