l’oltraggio della memoria

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C’è stato un trasloco. Uno scendere di mobili e scatole, poi gli operai se ne sono andati. Le persiane abbassate. La casa chiusa. Il vicino cassonetto della carta è stato riempito, ma non è bastato e così, nell’incuria che accompagna la fatica d’altri, classificatori, libri e fotografie sono ammucchiati sul marciapiede.

Ora immagini private, volti, corpi e situazioni accadute guardano il cielo tra gli alberi. Sono foto di bimbi, ora donne e uomini, ma lì in braccio a mamme e zie. Sono donne che sorridono nella neve, alcune mimano il gesto di sciare. In altre immagini, forse le stesse, sono su spiagge ormai sbiadite, a prendere il sole e conversare.

Si immaginano le cose di tutti : riposo, parole, amori, vita. Tutto racchiuso in album o sciorinato sul marciapiede tra cataloghi, preventivi, tracce di lavoro passato. Si mescolano, come accade a tutti, le vacanze, le intimità, con la vita esterna, fatta di obbiettivi, di sfide oppure di semplice routine. La stessa vita declinata su due versanti e qui riunita ai piedi d’un cassonetto.

In questo quartiere, le case sono spesso segno d’una condizione raggiunta, le ville spaziose, per famiglie ambiziose di successione o di immagine. I giardini piccoli e curati hanno lasciato tutto lo spazio al costruire edifici liberty o modernisti, dalle finestre alte, come vi fosse un ardire la luce e conservarla all’interno. Sono metafora delle vite con mete raggiunte, da mostrare prima che vivere e molto piene di cose. Quindi hanno molto di cui disfarsi quando un estraneo le conquista, oppure semplicemente, le abbandona. Così il passato finisce accanto al cassonetto.

Si saranno detti: basta la memoria o forse si cancella anche quella.

Nei mercatini dei paesi dell’Est Europa, trovavo queste ondate di passato gettate su carretti. Come se una burrasca avesse rivoluzionato l’ordine  e immesso strati di profondità sulla spiaggia e così le cose, forse amate un tempo, erano le une sulle altre, a generare un nuovo paesaggio. Ma durava solo un giorno e la sera, a mercato finito, per terra restavano carte, libri, fotografie di persone sconosciute, finché una scopa non metteva tutto assieme e archiviava passato e vite.

6 pensieri su “l’oltraggio della memoria

  1. Appartengo alla generazione delle foto scattate con parsimonia, della pellicola da sviluppare, dei tempi d’attesa impaziente, curiosa di scovare nella fissità di un’immagine il ricordo di un brandello di vita così come mi pareva di ricordare, con l’emozione di quel momento.
    Appartengo alla generazione del tempo scialato nel piacere di comporre in sequenza, non sempre cronologica, il racconto delle fotografie dentro un album, tenendo anche quella che vabbè è un po’ sfocata, ma c’è un sorriso o un frammento di paesaggio che sì, la devo tenere per forza. Esaltandomi per quelle “artistiche”.
    Appartengo alla generazione che soffre di fronte all’indifferenza, che guarda con il cuore stretto questa immagine. Quasi mi pare di riconoscerle quelle foto, le distinguo come fossero mie, risento il pulsare della vita affidata a ogni istante. Immagini da un viaggio, ritratti di volti che forse sono stati custoditi prima di tutto nel cuore, finché non ha smesso di battere.
    Si affaccia la foto di un bel gattone, si vede che è stato amato. Su quali ginocchia si sarà accoccolato, quante carezze e parole dolci?
    Fotoacolori, foto in biancoenero.
    Beh, ecco, con le foto digitali tutto scomparirà senza lasciare traccia, senza trasmettere emozioni, senza lasciare tempo al tempo che è stato.

  2. Che tristezza… :((
    Io non faccio testo perché sono un accumulatrice seriale e faccio fatica a liberarmi di cose che comunque mi hanno accompagnato per un pezzo di strada.
    Ma foto e lettere, mai. Non le butterei mai!

  3. Appartengo anch’io alla stessa generazione, Stella, che usava distinguere ciò che era caro e importante, per la magia che conteneva e per perpetuare la memoria di aver vissuto almeno a se stessi. Ora pare che con il virtuale tutto questo non serva più salvo scoprire che il cloud non mi restituisce una parte di ciò che pensavo salvato.
    Credo che le case siano la raffigurazione di chi le abita e dagli oggetti si comprendono passioni, priorità, scale di interessi. Anche nella presunta confusione si capisce molto. Guardando queste rappresentazioni delle vite, poi buttate, ho provato lavtristezza di chi vede le identità accumularsi e poi sparire in una medietà tecnologica che non conserva nulla.
    Grazie per le tue riflessioni Stella.

  4. Ciao PindaricaMente, tendo anch’io a buttare poco di quello che ha significato e mai una foto o una lettera. Mi sembrerebbe non che il valore di allora non ci sia più ma che è quello di adesso ad essere in discussione.

  5. Davvero triste Littledollsite, e osservo sempre più questi giacimenti che si accumulano vicino a cassonetti. Almeno in alcuni casi si capiva il dispetto per un amore finito che aveva bisogno di distruggere, era comunque qualcosa di vivo mentre altrove si sente solo che si cancella un pezzo di vita.

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