Stasera sarà passato un anno dalla scomparsa di Giulio Regeni. Scomparsa, perché qualcuno lo prelevò, lo torturò, lo uccise. Poi la catena di menzogne, la verità che fatica a farsi strada, pur essendoci stata sin da subito una verità che tutti pensavano e dicevano. Giulio non aveva avuto sorte dissimile da quella di tanti che in Egitto dissentono dal potere, vengono carcerati o spascono per essere poi ritrovati morti. Perché Giulio avrebbe dovuto avere avere una sorte diversa, si pensava. Forse perché italiano? Perché era un ricercatore legato a una grande università inglese? I regimi distinguono poco all’interno delle prassi consolidate: definito il nemico ovvero tutto ciò che si oppone, la prassi è la stessa e il discrimine diminuisce rapidamente dall’alto al basso della catena che esegue. Di certo in alto sapevano, ordinarono, qualcuno eccedette. Forse. Ma non credo. Credo piuttosto che cose più complesse che non riguardavano Giulio si siano intrecciate e che abbiano portato all’esito terribile della tortura e della morte. Poi è subentrata la necessità di una soluzione. Troppi e troppo importanti sono gli affari e l’interscambio tra Italia ed Egitto, compreso un enorme giacimento di gas scoperto dall’ENI, per essere in discussione i rapporti sostanziali tra i due Paese. Se poi ci si mette l’intricata vicenda libica con l’Egitto che sostiene il Generale Khalifa Haftar e il parlamento di Tobruk e l’Italia invece il parlamento di Tripoli, dove ha riaperto la sede diplomatica, ma che l’Italia mantiene contemporanei interessi a trovare una soluzione che sconfigga l’Isis e renda sicure le rotte del petrolio, allora si capisce che la verità su Giulio Regeni, quando arriverà, sarà comunque una verità contrattata.
Eppure, nonostante tutto, giustizia violata e orrore compreso, Giulio sta vincendo. Perché non si è arreso. Non parlo della sua fine tragica, ma di ciò che ha fatto prima e che ha dato misura di un giovane uomo che perseguiva cose importanti, giuste. Che le diceva e non era imprudente nel dirle perché pensava che fossero valori intangibili. Ci sono i suoi articoli, ma ora anche quel documento strano apparso in questi giorni, in cui Giulio parla con fermezza a quello che doveva essere un alleato per il suo lavoro di ricerca e invece era un informatore dei servizi egiziani. Gli dice quali sono i limiti della correttezza, ciò che non può fare perché contrario alla ricerca stessa. Dire di no a una richiesta di denaro in un ambiente ostile è pericoloso, ma testimonia la rettitudine di fondo, il credere ai valori che si rappresentano. Per questo Giulio vince e indica un modo diverso di guardare ai giovani. Lui rappresenta quei giovani, che sappiamo essere tanti, che non si arrendono, che credono che il mondo possa mutare, essere più giusto ed equo. Nessuno può arruolare Giulio nelle proprie file, non nelle file di adesso, Lui è il nuovo di cui c’è estremo bisogno, proprio ora che le nubi si addensano sull’Europa e sul mondo, è il nuovo che anzitutto dai giovani può salire verso chi è vecchio. Non importa se di età o comportamenti, è vecchio perché si accomoda nel malessere degli altri cercando solo la propria ragione. È vecchio perché non spera più e non vuole il cambiamento di ciò che vede ingiusto e sbagliato. È vecchio perché invoca sempre ragioni superiori ai fatti e li banalizza, li riduce a cose che si dimenticano. È vecchio perché pratica l’ipocrisia del potere che chiede di guardare a chi fa il proprio dovere mentre non fa il proprio. E anche in questi giorni ne abbiamo testimonianza.
Stasera sarà passato un anno dalla scomparsa di Giulio, sembra molto di più perché i media ci hanno consegnato a un perenne presente privo di futuro, ma Giulio ha una sorte differente da molti altri fatti accaduti in quest’anno appena passato e questo ha un significato. Credo che onorare Lui e la verità significa anche guardare i giovani e credere in loro, affidare a loro il compito di cambiare il futuro già scritto.
Grazie alla famiglia che non si arrende e a tutte le persone che lo ricordano incessantemente.
grazie willy
ciao