Luna velata. Su cielo di nubi lunghe, chiarore spampanato nell’ azzurro grigio delle sere di questa stagione. E’ colore che porta verso nord, assieme al freddo che avvolge senza mordere; per le donne, è sera da scialle, per gli uomini, basta una giacca spavalda, da rinchiudere senza dar vedere. Ci son già primi profumi leggeri, quelli che penso d’aria, scivolati per leggerezza e fiducia verso ciò che arriva. Profumi ben distinti dagli olii estivi onusti di giorni di sole e di sete, essenze, questi, da pelle. Da passare con un dito, per una scrittura o una carezza. E così s’accarezzano le aromatiche che subito, paurose o grate, alzano un velo che avvolge la mano e basta odorarne il palmo per sentire la terra, e la vita che, loro attraverso, sale.
Saltando dal generale al particolare, perdo ciò che sta a mezzo, me ne rendo conto, mi perdo e perdo. Forse è abitudine, ma gran parte del reale viene automatico e non si nota. Forse. Direbbe un’ amica appassionata della terra che questi sono lussi da perditempo, ma quante cose si perdono nella velocità, mentre dai parabrezza (c’è sempre un riparo per gli occhi quando si corre), si vedono cose ferme, prospettive limitate e se anche, quando si traghetta o naviga (è una metafora), s’ attende più l’approdo che la dimensione enorme del mare.
E così mi perdo il senso del correre, il mondo di medietà con le sue verità e trasgressioni, quasi un obbligo per la colonna vertebrale, ché guardare troppo in su, oppure troppo da vicino, la vista, la schiena e il cervello, ne soffrono. Si può soffrire di particolare nel cercare le assonanze o di sguardo ampio per collocarsi nell’universo? Si, ma ancora una volta è un equilibrio da costruire e mantenere, giorno dopo giorno. Non si può vivere d’eccezione. A dispetto di Ulrich, l’uomo senza qualità, che vorrebbe vivere senza le pause del consueto, e, di converso, neppure come in un film giapponese di molti anni fa, che durava 24 ore. Antesignano della cam da voyeur, e del grande fratello, ma senza copione e novità obbligate, mostrava la vita nella sua nudità, dove anche la passione è pretesto, e si svolge tra ripetizioni: sonno, risveglio, necessità, cibo, relazioni, assenza, noia, presenza. Tutto in rapporto 1:1. Una noia mortale, ma anche un’ alternativa, perché, volendo, assieme al protagonista, si poteva dormire durante il film, pranzare con lui, sovrapporre le vite, e vedendosi dallo schermo rendersi conto di come si è davvero: medi e ripetitivi. Ma la medietà dobbiamo al più accettarla, mica per forza ci deve piacere.
Alternativa è praticare la sineddoche, con le storie che estrapolano particolari, li collocano in un generale condiviso, mai troppo ampio, e dove la stessa eccezione dev’essere tale, non normalità, e la vita raccontata, a sé, prima che ad altri, liason tra particolare e generale. Medietà che ci tiene assieme agli altri, ci fa condividere, argine all’ovvio e, al tempo stesso, porta aperta per la diversità, contro ciò che, visto realmente com’è, diverrebbe orribile noia ed irraccontabile vita. Solo quando alziamo lo sguardo ed abbracciamo il cielo e la luna, solo quando ficchiamo dentro gli occhi, quanto più mare o bosco, o roccia, o strade e case si riescono a vedere, solo quando dei libri vediamo i dorsi, ma ne sentiamo il contenuto premere verso di noi, solo in questi momenti quella meraviglia che ci fa fermare davanti all’inconosciuto diviene noi e perdiamo la medietà e dirlo ci è difficile, per la paura di essere presi per visionari, illusi, folli.
“… e dirlo ci è difficile, per la paura di essere presi per visionari, illusi, folli.”
Ecco!
spirale convulsa di sogni e di meraviglie divelte dal possibile! E’ sempre un piacere leggerti!
@blu: grazie Blu, è un piacere che trovo da te
è che io sono dovuta andare a cercare su wikipidia cosa è sinoddoche, che mica lo sapevo che se dico america e non stati uniti d’america è una sinoddoche, io dicevo america così, ingenuamente 🙂
sto pensando, per associazione d’idee, alla strada, al papà e al bambino dentro il collettore nella notte buia e mccarthy fa dire al bambino : ma tu mi vuoi bene papà? e il papà dice Si e il bambino dice Ok e mccarthy ci mette un punto e basta.
difficile fare una sinoddoche in quella frase. ma maccarthy magari è come me, manco lo sa. bene-si-ok.
ciao Robertì…statte ‘bbuono…
Mi piacevano i russi,tutti, Gadda e Tomasi di Lampedusa, Dante e Hemingway, Calvino e Malamud, prima è venuto John Fante poi Carver, Roth mi affascinava, Borges era magnifico. Della stringatezza amo la sintesi severa, il togliere fino al limite del significare, accanto a chi sa gonfiare le proprie vele di immagini senza pretesti. Questione d’occhi e di cervello, la mia insegnante mi inculcava che si trova ciò che si cerca e si vede ciò che capiamo. Insegnava chimica e usava la parte per rappresentare il tutto. Vabbuo’ Cri 🙂