Il ragionare, la razionalizzazione serve a dar conto della propria prigionia nel necessario. L’obbligo che, per essere trangugiabile, dev’essere ricondotto alla volontà. Farsene una ragione, in fondo è questo il procedere comune, e per quanto raffinato è il ragionamento, nel dialogo tra sé, alla fine ci si convince, perché questo era il fine. Non potrebbe essere altrimenti, perché si dovrebbe rinunciare alla vita di relazione, agli affetti, alla convenienza. Nell’epoca della libertà virtuale, la convenienza ha un cattivo nome, sembra una parte poco generosa delle persone, la si apparenta al calcolo. La generosità in questo mondo, è apparente per gran parte dei casi, dei momenti, delle persone e quasi sempre soddisfa un bisogno. E’ una virtù domestica, la generosità, da associare all’amore, all’affetto, al bene e quando esce dalle mura domestiche, assume una dimensione sociale, supera l’individuo e la sua sfera, diviene eroica. Abbiamo bisogno d’eroi oppure queste modalità d’essere, queste sovrastrutture, poco ci riguardano, quando la vita di tutti i giorni è la gestione della libertà che ci è stata data ed è difficile da esercitare? E’ l’era delle libertà virtuali, che ci consegna al malessere del compromesso tra la possibilità e la realtà, ed è di questo che ogni giorno bisogna farsene una ragione. Ma andando alla radice del luciferino che conteniamo, anche la libertà è un bisogno di perfezione ed invece, noi viviamo nell’universo del relativo, poggiamo i piedi nella perfezione dei teoremi, delle leggi fisiche e dobbiamo muoverci con la forza del pressapoco. Bisogna farsene una ragione, sentire la limitatezza come possibilità, alterare le regole del gioco e pensare che se il mondo è solido noi fluttiamo su esso, che se la società, i vincoli economici, i modi di vivere sono gabbie possiamo uscirne e rientrarne per convenienza. Esplorare il profondo vuol dire essere adeguati a sé e non al mondo mutato, farsi affascinare dalla profondità del mare che conteniamo, è una cosa irragionevole e difficile, non c’è forse, una parte di noi che ci è stata insegnata con cura che ci dice che è meglio governare la ragione, perché la ragione aiuta a procedere? E se ad una ragione ne segue un’altra, poi un’altra e ancora, in una sequela infinita di ragioni e compromessi, non è poco male se esploriamo meno il mare e riusciamo a gestire desideri, irragionevolezze, pulsioni, stanchezze, gioie e disperazioni?
In questa funzione, il prete della ragione, la società, rassicura ed assolve, mentre lo strascico del difficile equilibrio della convenienza lo segue.
A noi che come pesci ci immergiamo, saltiamo, ci ri immergiamo, perché la vita, lo sappiamo, è lì nel profondo, non nel guizzare d’acquario, resta l’irrequietezza e la necessità del farsene una ragione.
Quasi sempre, a volte si deroga e si respira.
Mi capita di sentire discorsi sulla libertà del virtuale, sulla veridicità della comunicazione virtuale VS la scipita realtà pratica fatta di compromessi, di disagi, di impossibilità a stabilire un “contatto” umano e nutriente quanto offre la messaggistica del web, la richiesta d’amicizia facebookiana o l’aggiunta ai contatti messengeriani.
Oggi mi è stato chiesto se io sia più me stessa (reale) nello scambio di opinioni con un collega piuttosto che negli scritti depositati nel blog. Di getto ho detto “nello scambio con la collega”, perchè la parola scritta è truffaldina nei confronti della realtà, perchè chi scrive “da scrittore” e non per mestiere (includo il diario cartaceo e quindi il blog come strumenti da scrittore) lo fa per salute e per piacere, per raggiungere l’altro, ma soprattutto per finemente usare l’intelligenza a un qualche scopo: bellezza, illusione, espressione, guizzo creativo. Comunque sia, sono sempre reale, sono sempre S, sempre in un dialogo, ma nel primo caso sondo l’altro immediatamente e ne ho ritorni che subitaneamente mi sollecitano a modificarmi, mentre nel secondo caso (realtà di scrittura) molto resta nell’autoreferenzialità.
I compromessi del reale ci stringono nelle pareti di un piccolo acquario rispetto al grande oceano virtuale che sembra libero, e forse per certi versi lo è, ma quanto è solitario però; davvero la rinuncia alla convenienza è un mondo autistico come tu sostieni ed io sottoscrivo.
Comunque, Willy, una cosa va aggiunta al tuo scritto, per dovere di onestà con quel senso d’ingiustizia che l’andare a sbattere il musetto contro il vetro ci arreca come una iattura. A furia di nuotare in acque stagnanti, a forza di migliorare le proprie abilità a gestire il nuoto nel mare dei doveri mutanti in libere scelte, passa un pochino la voglia di desiderare, si fa strada il ripiego sul surrogato e, ahinoi, la rinuncia.
Ammemmi scoccerebbe un po’ diventare un pesce con gli occhietti sottili come asole. Ecco.
Condivido quanto dici sulle libertà di Internet, con in più la sua funzione compensativa sulle insoddisfazioni, sul bisogno di misurarsi su altro che non sia un quotidiano spesso sentito come troppo piatto e costrittivo, il narcisismo, ecc.ecc.. Internet può essere una fase della crescita, ovvero un apprendistato sull’ esercizio dell’immaginario e il reale messi assieme per poi puntare sul reale con maggiore forza per governarlo, e così sarebbe un apprendistato non da poco. Ma se una persona porta la sua realtà, nel senso che non bara coscientemente, proprio come nella vita, può essere che la libertà virtuale di internet si aggiunga alle altre libertà che possiede e se la tenga.
Aggiungi poi, mOra, alle libertà virtuali di internet, quelle virtuali che nella vita di tutti i giorni sono state messe nelle nostre mani ed in realtà non sono esercitabili appieno senza rompere tutta la cristalleria. Quelle sessantottine ad esempio. Le libertà quotidiane che esigono il compromesso per trovare una propria faticosa strada, sono quelle che ci premono di più, che ci consumano di più, ed hai ragione, a furia di sbattere il naso, ci si accontenta. Ma se il pesce è vivo ci riprova.
Non c’è assolutamente necessità di scavare nel profondo quando si ama.Si percepisce necessità con dentro tutto il suo mistero e,non s’indaga.Si ama.Ma forse non ho capito il tema o fuori tema sono andata.Sarà perchè OGGI è la mia festa.FESTA DI DONNA.
Ciao W.R.S.e,che il die ti sia divinamente in tutto quel che fai e sei.Mirka
Ho riletto un pò più attentamente e sviluppo un pò meglio ciò che ho capito da questo tuo post.
Il virtuale,se non è una trappola per manipolare,per frustrazioni o per patologie varie,è un mezzo di comunicazione potente,sempre che si sia capaci di deliberare bene sulle cose buone e vantaggiose per godere degli scambi,coglierli per verità,di volta in volta e, di volta in volta portarli alle “ragioni del bene”.Ma per farlo è “necessario” guadagnare la “verità” su di sè,sapere chi siamo o,per dirla con Kant “cosa dobbiamo fare e lecito sperare”.E su questo è necessario che si presenti attiva la capacità di “pensare” cosa sia utile o necessario per noi..
Ciao,Bianca 2007
nagigare sopra e sotto: una necessità utile alla sopravvivenza 😉