Nello scuotere improvviso, c’è un singulto di stupore e di paura, poi la comprensione subitanea: terremoto. Dei pensieri successivi, parlerò, ma l’immagine che si forma in testa, e che si ripeterà nella scossa successiva, è quella di un gigante, ben piantato nel vicolo, che con le sue mani enormi ha abbrancato le pareti, e comincia a scuotere la casa. Chissà perché lo fa, c’è stupore, forse vuole misurare la sua forza, forse, oppure vuol far cadere qualcosa per sé, o ancora è per allegria sua. E’ l’una di notte, nel vicolo c’è il solito silenzio notturno e quel frullo che si sente ed accompagna la scossa, è un ansito soffiato del gigante, è il suo alito sulla nostra paura. Nostra? Mia, che sono in piedi a quest’ora e sento il pavimento scorrere, libri cadere e guardo inutilmente il soffitto alla ricerca di lampadari oscillanti che non ci sono. Ho messo faretti dappertutto, e adesso mi mancano i lampadari, come servissero i segnalatori di terremoti, guardo la pendola: si è fermata e l’altra, ferma, si è messa in moto, ma intanto il gigante si è stancato.
Ci sono troppi libri in questa casa, è il pensiero principale adesso, pensiero aiutato dai tonfi delle cadute dei volumi sul legno. Questo pensiero mi assorbe, distoglie dalla sensazione di vuoto che sentivo sino a poco fa. Intorno non accade nulla, c’è un senso di sospensione calma, e l’inquietudine si rintana, è quella che attende la scossa successiva, quella che non arriva. Sono determinato a stare in casa. Ragiono sui 4 piani di scale da correre, troppi se c’è un disastro, e sull’età della casa: è vecchia quel tanto da aver visto e sentito altri terremoti. Queste sono case tirate su con quello che c’era, in anni di ricostruzioni dove c’erano i bravi e le canaglie, posso solo sperare che chi ha costruito non abbia unicamente recuperato materiali più antichi, ma sapesse cosa faceva. Concludo che non è l’ora, né per lei, né per i miei amici dei piani inferiori: possono continuare a dormire, loro. Non si muove nessuno. Guardo le finestre attorno, è tutto bujo, a parte il solito nottambulo cinefilo che si è affacciato. Solo io e lui siamo svegli, questo mi fa sentire più sicuro sull’entità del terremoto, ma sono anche, inequivocabilmente, solo nella notte. Guardo su internet e già ci sono le prime notizie: l’epicentro è vicino a Verona, la scossa è stata forte, ma senza danni.
Ho troppi libri, e giornali e carta, è la mia bulimia che ha accumulato e che non so come affrontare senza un dolore di perdita. Il terremoto, anzi il gigante, ha rimesso in evidenza questo problema di oggetti e spazi a disposizione. E qui comincia una riflessione sul mio modo di vivere, non riesco a fermarla neppure a letto, è un sonno difficile, con l’ inconscia attesa della prossima scossa. Non so che arriverà il giorno dopo alle 16, sono vigile, potrebbe esserci subito e più forte. Eppure tra “troppi” libri, terremoto incipiente e casa vecchiotta, il sonno arriva, segno che alla fine prevale la fiducia. Tanto che posso fare?
Del senso ironico del tempo della terra che si scuote, capisco il giorno successivo: è il nostro fragile umano tempo cronologico in discussione, la terra si muove di continuo. Le nostre serie storiche, limitate dalle nostre attese di vita, sono cronologie ridicole per il mondo. Sono ben attento a non scivolare nel relativo: ciò che vediamo e sentiamo è il nostro reale, siamo noi che scriviamo le storie che la terra scrive altrimenti. La sensazione della nostra pochezza annichilirebbe le sconsiderate volontà del costruire sul poco e sul breve e proiettare all’infinito, toglierebbe voglia di futuro all’uomo. Non è un gran valore, ci occupa di grandi personali considerazioni il tempo, ma è la nostra incauta misura, com’ è misura il ricordo, le serie storiche dei terremoti in val padana, rari per gli uomini, molto frequenti per la terra. Del resto non conosco forse, fin da bambino quell’abside interrotto di santa Sofia, rimasto incompiuto, dopo che un sisma aveva raso al suolo i resti dell’impero romano nella città. 800 anni sono un batter di ciglia per la terra, uno sbadiglio nei suoi milioni di anni fatti di brividi che noi annotiamo diligenti nelle nostre storie. Come fossimo osservatori di un’altro pianeta, attenti a questa palla color blù e fango, ma anche distaccati conservatori d’altre memorie.
E i miei affetti, i miei libri, le mie cose, mi riportano a me, al contingente che dilata nel tempo, non voglio vivere solo nell’attimo per fuggire il senso di morte che questo porta con sé, voglio il giorno come un mantice di fisarmonica che si dilata e suona, perché questa è la mia musica, la mia vita, di cui fa parte anche il terremoto e il rispetto per il gigante che mi lascia vivere, ma mi ricorda che qualche conto, non con lui, ma con me devo rinegoziarlo.
E magari saldarlo.
Il terremoto è l’ineluttabile che costringe a fare una capatina nel proprio “santuario” interiore. Non può essere solo l’attimo, il collezionismo di attimi non ripaga della caducità a cui siamo appesi, è un passaggio troppo stretto. Penso che quel “mantice” possa essere una forma di contatto durevole con la saggezza della vita che non si restringe ma si dilata. Anche il gigante assume un ruolo che, in fondo, è contemplato da sempre. Ce lo dicono fin da bambini. Ricordo la favola di Wilde, “Il gigante egoista” che scopre la bellezza dell’infanzia solo dopo che l’ha detestata e scacciata. Quando decide di riaprire il giardino ai bambini, la primavera interrompe l’inverno infinito a cui si era condannato da solo. Anche i giganti hanno bisogno dei piccoli, e forse noi di loro.
E’ strano che abbia dato fattezze umane al terremoto, sia pure con un gigante, forse avevo bisogno di qualcosa che a suo modo ragionasse e che potesse essere anche benevolo, di sicuro è stata una regressione. Mi hai riportato alla mente la favola di Wilde, è un ricordo piacevole e lontano, grazie Mora. 🙂
Non so se si sia capito, ma ho un buon rapporto con la mia infanzia. Naturalmente c’è tutto il contenzioso che uno si porta dentro, ma credo che mi sia andata complessivamente bene. Se mi riporto all’allora c’è un terremoto di cui ho un ricordo, tra i primi della vita, e una lampada oscilla furiosamente in cucina, io finisco, spinto da mia nonna sotto una sedia e lei sotto il tavolo. Mi pareva un gioco, con paura annessa, ma un gioco.
Hai colto bene, il terremoto, come altro, modifica l’ordine del giorno della vita e la collezione d’attimi rivela, a me, tutto il suo limite.
Da fine scrittore,hai omaggiato il terremoto che di per sè stesso è solo distruzione.
Bravo! Potessero tutti gli umani comprenderne il senso della brevivitae e renderla grande almeno nel finale.
Qui in Emilia,le scosse (grosse) ci sono state la settimana passata.A me,ch’ero entrata infarmacia m’è piombato addosso tutto uno scaffale di prodotti.Fortunatamente solo una grossa paura e male alla schiena.A casa,ed ero sola,in quel preciso istante,ho visto il pavimento alzarsi e lì è stato una visione mahleriana (come ho sempre desiderato fosse) ma mancante di qualcosa.Lo specchio rimandante l’allegriad’un sorriso,il complice grazie.
Ora invece è ghiaccio fuori, ma dentro il caldo col sottofondo musicale,”Die forelle seguito nel subito da Du bist die Ruh (Schubert) Puccini… e poi ancora Mahler .Mirka
Bella questa colonna sonora Mirka, da incipiente primavera. Avevo pensato anch’io a Mahler, al colpo di maglio della sesta, in particolare, ma era un sussurro imperioso quello che s’è sentito, mentre tonfavano i libri. Qui il gelo è diffuso dalla bora che ha insistito tutta la notte, anche ora c’è lo sbattacchiar di lamiere. Buon ascolto Mirka
Da me, Will, il terremoto è sempre accompagnato da un boato e un rumore sordo che sale per la valle che fa da cassa di risonanza. E di solito viaggia da sud a nord ed è inconfondibile.
Oltre alla terra che trema o sussulta, anche il rumore, che accompagna questi improvvisi e interminabili movimenti, contribuisce ad acutizzare la paura e il senso della nostra precarietà.
Tra le tante scosse, mi ricordo ancora quando una notte di fine estate del 1989 siamo finiti tutti in strada in pigiama…
E rammento come fosse ieri il terremoto del Friuli del 6 maggio 1976 anche se ero poco più che una bambina …
All’epoca mio nonno paterno viveva con noi e pensò che fossimo noi nipotini a scuotere la poltrona su cui era per gioco o burla. Solo 11 giorni dopo lui se ne sarebbe andato per sempre. 😦
Quanti ricordi…