piccole compulsività

Ci sono reazioni esagerate, lo spazzare il tavolo e a volte rovesciarlo, che sembra pure meglio in quel momento. Magari per sfogarsi e non pensarci troppo o per dimostrare qualcosa a qualcuno. Così c’è chi ti chiede l’amicizia in questi luoghi e poi ti cancella senza neppure dirlo. Come se il mondo virtuale non avesse una sua creanza e sincerità se siamo tra persone e non solo tra alias. Invece sembra che per qualcuno o molti, tutto appartenga al fare e disfare, quindi semplicemente si preme un tasto e non ci sei più. Ma anche se è così, basta pensare che c’è pure di peggio, quindi bisogna farsene una ragione. E posso assicurare che, contrariamente a quanto si pensi, non è difficile, non si sta male che poco e la ragione arriva subito. Accettare ciò che non si capisce non e’ poi così difficile se si scrollano le spalle da inutili pesi.

Già faccio fatica a comprendere chi ha la costante tentazione di cancellare tutto, come ci fosse qualcosa che davvero si cancella, che essere messo dentro o fuori d’una porta, lo riservo, per il dolermene, a chi conta davvero, al più la considero come l’ennesima conferma che se questo mezzo e’ vacuo, solo noi possiamo dargli consistenza, restando ciò che siamo davvero.

Restando, per l’appunto.

e che c’è da capire?

La domenica delle palme, forse più della Pasqua, evoca molto anche a chi non è credente. E’ molto umana, evidenzia la fugacità dei trionfi, l’osannare vacuo e interessato della folla, l’applaudire che si trasforma in dileggio. E’ l’anticipo del “crucifige” e chi è osannato dovrebbe ricordarselo. Basterebbe questo per riconoscere che molto di umano c’è nel religioso, e non solo il mezzo, ma l’insegnamento sulla relatività dell’uomo. Se l’uomo non si riconosce in sé, se non rifiuta la folla, se non si guarda dentro per trovare le ragioni che lo spingono e lo giustificano nei suoi atti, cercherà altro e soprattutto assoluzioni che non lo salveranno da sé, basteranno forse ad altri, ma gli altri sono quelli del trionfo delle palme.

Forse un agnostico non dovrebbe farsi troppe domande su ciò che vede, ma piuttosto badare a ciò che sente. Chi ha una fede è meno solo, ma non basta e non è per sempre. A volte chi non ha una fede se la costruisce, ne cerca la giustificazione in sé non nella razionalità, come fosse un salvagente lanciato nella notte: gli serve per galleggiare.

Chi non ha una fede sperimenta la solitudine e pensa non ci siano sbocchi se non nell’altro, nel sentirlo, affrontando con lui l’oscurità che emerge dentro. E’ la sola speranza che ha, ed è così flebile che la deve difendere da ogni evidenza contraria con una fede laica nell’uomo che spesso neppure la religione trova. Qualche anno fa mi trovavo la notte di Pasqua a Regensburg. Nevicava come in questi giorni, non avevo voglia di andare a dormire e mi ero messo a camminare per la città, anche se era tardi. Alla fine, mancava poco all’albergo e a mezzanotte, il freddo mi spinse nella cattedrale. La scena che mi si parò davanti mi stupì molto: la chiesa era zeppa di persone e totalmente al buio, solo verso l’abside c’era il cero pasquale acceso. L’officiante parlava salmodiando, ma da solo, al buio. C’era una sospensione tra le persone, un silenzio di attesa. Tutti sembravano solo respirare e ascoltare. E tutti guardavano verso l’altare che s’intuiva attorno alla voce. Guardavo attorno, con gli occhi che si stavano abituando al buio, quando all’improvviso esplose un halleluya e scoccando come una fiammata, dall’abside verso la navata, la luce invase la chiesa. Bianca e fortissima come divorasse l’oscurità. Il coro intonò un inno di giubilo. Adesso i volti attorno erano sorridenti e cantavano. Devo dire che l’emozione fu forte, forse troppo e dopo poco uscii. Avevo bisogno di restare solo.

Di solito a questo punto si scrive: quella notte capii… invece io non capii niente di più di quello che già sapevo, ovvero che c’è chi ha fede in qualcosa che non può toccare, eppure lo sente, e chi non ce l’ha, ma non per questo è sola razionalità. Però entrambi sono uomini e se condividono la spiritualità si possono parlare di cose immateriali che conoscono. Se non mettono in mezzo i dogmi, se guardano alle cose che possono fare assieme rispettandosi, si accorgono che possono fare tutto quello che è importante davvero. Poi se vogliono, uno metterà un limite e l’altro lo rispetterà, ma quel limite è cosa loro.

Star bene, rifiutare ciò che non appartiene, e tenere tutto il resto. Io credo (parola difficile per un non credente) che se ci si riconosce, allora anche l’osannare vacuo si perderà, la distanza si farà breve in ciò che conta. Non serviranno trionfalismi, solo l’idea che ciò che si fa è giusto e fa bene.