giovedì rosso

La politica si avvita su se stessa, soffoca nelle proprie spire e nelle bugie che si racconta per credere di mutare ciò che non va senza cambiarsi profondamente dentro. La politica è fatta di uomini, ma non ho mai pensato debbano essere proprio lo specchio del paese, dovrebbero essere un po’ meglio per essere riconosciuti come capi. Una responsabilità più pesante grava su chi ha governato in questi anni, quella di aver fatto emergere, e coccolato, l’animo cialtrone e falsamente anarchico degli elettori spettatori. Di aver privilegiato quelli che cambiano opinione spesso in base al guadagno di personale e di cercare quelli che pensano di non aver nulla da perdere.

Gli italiani non amano la verità, non pensano al futuro proprio, perché mai dovrebbero pensare a quello dei propri figli? Al più una raccomandazione, basta e avanza.

Qui, adesso, voto, è un gioco, che importa modificare la politica, chi governerà, cosa accadrà davvero: sono tutti uguali. Voto e non mi pentirò. Oltre l’evidenza, voto tutte le balle che mi raccontano, voto perché posso farlo e magari non voto. Voto per spaccare tutto, voto perché non m’interessa, voto perché mi lamenterò e sarà un coro. Cosa faccio io per il mio paese? Lavoro, non basta? Del resto non mi interessa, ho già troppe grane per mio conto, voto o faccio a meno, è questa la libertà, no?

Il voto in Italia non ha mai cessato di essere ideologico, i comunisti da una parte, gli “altri” dall’altra, i cattivi e i buoni. Non importa che nome hanno i “buoni”, tanto neppure i “comunisti” esistono più da un pezzo, basta non far la fatica di capire. Da un lato si dice che non esiste più destra e sinistra, dall’altro si evocano i “comunisti”. Si beve tutto per scegliere la parte in cui l’immaginario concentra ciò che non piace. Non importa se è vero o meno, se la realtà è altra : basta uscire da questa noia.

Però esiste una differenza tra destra e sinistra  ed è quella tra chi pensa a sé e chi mette se stesso assieme agli altri. Mica cosa da poco, come la verità non è cosa da poco, ma la verità è fatica, bisogna capire, discernere e poi decidere da che parte stare.

Dicono che è colpa della politica se la campagna elettorale è poco interessante, certo la politica ci mette di suo, ma penso che sia una responsabilità degli elettori chiedere -e chiedersi- cosa accadrà dopo il voto, valutare le proposte, non farsi lisciare il pelo.

Vedo la noia, il si vive una volta sola che emerge, non preoccupatevi passa, per fortuna che c’è sanremo. 

domande sull’ingratitudine

Per quale motivo, spesso, chi ha ricevuto del bene non lo restituisce al suo benefattore caduto in disgrazia? Anzi, non di rado diventa indifferente, se non critico od addirittura schierato con i nuovi detentori del potere.

Quali sono i meccanismi che trasformano la gratitudine in invidia, già durante il rapporto, ed infine nel ripudio, anche del ricordo, di come e perché vi sia stato un bene?

Non si tratta di portare innanzi chissà quale legame, ma riconoscere che del positivo c’è stato. Poi non serve altro, se non il rispetto per le persone che hanno dato. 

Nell’esercizio della gratitudine servirebbe compostezza, non sbracarsi prima e non rinnegare poi, insomma riconoscere ciò che ha arricchito entrambi, chi ha dato e chi ha ricevuto. Invece manca spesso il rispetto del passato che fa guardare innanzi e che non rinnega ciò che è stato.

Diceva Flaiano che questo è un paese che corre in soccorso dei vincitori. E’ ben strano il mondo che distingue tra vincitori e vinti solo in termini d’interesse e credo che Flaiano avesse ragione nei confronti di chi non è abituato a considerare il rapporto tra persone, se non come un rapporto di potere. Per questo non mi piace l’ossequio, e neppure che si consideri il potere come qualcosa che discrezionalmente può dare, e che esercita un dovere nel dare in maniera diseguale: di più ai propri. In questa concezione dei rapporti l’uomo diventa suddito e quando si ribella, e gioisce se chi aveva potere cade nella polvere dopo averlo adulato, è peggiore di chi abbatte.

E’ un trasformismo che troppo spesso si vede nelle piccole cose, nei rapporti quotidiani e tra le persone, e che ferisce molto più del fatto di non avere più un ruolo a chi l’ha perduto. E’ il tradimento di ciò che è stato.

Mi chiedo quanto di tutto questo sia insito nell’uomo che legittimamente deve superare il momento del ricevere e quanto invece risieda nella maleducazione che impedisce di oltrepassare l’oggetto ricevuto e vedere la persona che dà. Nell’antropologia del dono si rinserrano i vincoli, si riconosce il gruppo, le persone crescono sapendo di poter contare sugli altri, ma non pretendono, non adulano, non diventano appartenenti a qualcuno.  Così si supera l’imbarazzo di ricevere e il gesto gratuito diventa consuetudine, ospitalità, modalità nell’ essere e nel riconoscere l’altro uomo.

taxis

Mi piace l’idea che i nostri tassisti prendano nome dai Thurn und Taxis, che oltre a fare gli esattori e i principi (e ospitare Rilke a Duino), gestivano il servizio postale nei paesi del sacro romano impero. Mi piace perché un’ascendenza nobile giustifica l’attaccamento al passato, ai privilegi, mentre il mondo cambia e mette i villani nei castelli. Ma in realtà non è così, e le regole che valgono nel nostro paese, buone o cattive che siano, non sono assolute. Nel paese in cui ero sino a qualche giorno fa, il Senegal,  i taxi erano tantissimi e scalcinati. Si contrattava il prezzo prima di salire, il tempo per arrivare era un problema del tassista. Tutto questo in un traffico caotico, con pochissime norme, e pieno di eccezioni: bastava non farsi male. Questa è una liberalizzazione selvaggia, non priva di fascino devo dire, perché se uno ha i soldi e vuole la macchina bella, chiama un’agenzia specifica, altrimenti tutti uguali nel traffico. Lo stesso sistema non l’ho visto solo in Africa, ma in sud America, in Cina, in medio oriente, nei paesi dell’Est, ecc. ecc.  E non significa nulla, se non che i sistemi non sono immutabili e nessuno è perfetto. Così vengo a casa nostra, premetto che ho conoscenza delle cose come stanno, e quindi mi sono formato un’opinione, che non è più autorevole, ma si può fare. Bene, mi pare sbagliato che una licenza pubblica possa essere oggetto di eredità senza un limite, questo vale per uno stabilimento balneare, per un suolo con diritto di superficie, per un plateatico, ecc. ecc. quindi essa dovrebbe avere una durata, essere onerosamente rinnovata, decadere con il mancato esercizio da parte del titolare, stabilendo casomai, una prelazione nella continuità dell’attività, e così via. E’ troppo difficile? Mah, non credo, se si esce dall’età di mezzo in cui c’erano sì i privilegi regi o papali, ma anche i ducati venivano riconcessi alla morte del duca. Se una persona compra una licenza è per usarla, non per rivenderla. Magari questo principio avrà bisogno di gradualità, e questo va bene, facciamo 5 anni? Poi tutti alla pari e quando l’ esercizio della concessione cessa, farmacie comprese, si va a concorso, magari ricomprendendo una buonauscita per chi cessa l’attività. In realtà quello che non si vuole smantellare è un mercato drogato dove si vende qualcosa che ha un valore fittizio, e per mantenere il quale bisogna che cessi il libero mercato e la concorrenza. Ma se non c’è un cambiamento tangibile, in un tempo certo, come lo spieghiamo a quelli che dovevano andare in pensione quest’anno e ci andranno, forse, tra cinque anni? In realtà alcune categorie, non persone, difendono se stesse a prescindere, oltre il merito e il momento, però credo anche che generalizzare non faccia mai bene, molti tassisti non hanno redditi da professionisti, e casomai bisognerebbe cercare tra gli orafi, i bar, i ristoranti, ecc. ecc. qualche tesoro nascosto. Devo anche dire che i tassisti non hanno fatto molto per far  essere simpaticamente ligi: cosa sono quegli straccetti di carta pubblicitaria, magari di night club, che mi vengono dati per ricevuta? Più di una volta ho dovuto protestare perché non si capiva nulla, oltre l’importo, anzi un abusivo mi ha dato una ricevuta di un’altro taxi, e mica si capiva, il taxi era eguale agli altri,  poi cercando il mio telefonino smarrito ho scoperto che era abusivo. Poi perché il metodo per tariffare una corsa è il tempo e non il percorso? Perché devo pagare l’inefficienza del comune nel regolare il traffico, che è anche quello che mi impone la tariffa. Doppia beffa. E’ ora di stabilire che nessun mercato è privilegiato, che i monopoli non esistono e che gli utenti devono poter contrattare i servizi. Quanto questo costi in termini elettorali ce lo potrebbe spiegare il sindaco Alemanno, ma se i tassisti, i farmacisti, i tabaccai, gli edicolanti, i baristi, i notai, gli avvocati, i commercialisti, ecc. ecc.  sono un’eccezione intoccabile, alla fine sappiamo bene chi resta. Pagassero almeno le tasse fino in fondo, ma neppure questo è concesso verso chi ogni mese scopre che lo stipendio si decurta ed ha il rischio assoluto del licenziamento. Bisogna mettere mano al sistema delle caste, non perché questo ci porterà fuori dalla crisi, ma perché lo stato, le regole, il lavoro, i pesi e i diritti devono essere uguali, altrimenti ogni efficienza, ogni cambiamento sarà impossibile, e la gestione della cosa pubblica dovrà procedere per eccezioni. E sulle eccezioni si reggeva il sistema feudale, non lo stato democratico.

p.s. leggo che nel provvedimento del CdM i taxi sono stati tolti e demandati all’autorità sui trasporti. Tutti bravi a bastonare chi lavora a reddito fisso.