autocensura

Ultimamente mi autocensuro, non scrivo e non dico quello che penso nella sua gravità per me. Ho l’impressione che stiamo scivolando verso un buco e non so quanto sia profondo, ma è un precipizio in cui non c’è analisi, prospettiva costruita sul ragionamento. Manca quello che io, qui il pronome personale ci sta tutto, ho considerato, da sempre, futuro comune. E siccome ho l’impressione che questa sia un mio personale sentire, mi fermo e mi autocensuro, oltre questo sfogo.

Se leggo la cronaca del discorso di Grillo a Torino, fatico a capire il nesso tra le tante denunce e i rimedi, un saltare da una parte all’altra che non considera nessuna logica reale, ma la realtà in piazza sembra essere conservatrice. Poco incline al cambiamento. C’è troppo debito, non paghiamolo. C’è la crisi e la disoccupazione, diamo un salario di cittadinanza a tutti quelli che non lavorano. Mancano i soldi, preleviamoli dal finanziamento ai partiti, ecc. ecc. E’ il ragionamento (?) speculare a quello di Berlusconi: restituiamo l’imu e facciamoci dare i soldi dalla Svizzera, non dagli evasori ed esportatori di capitali, ma dalla Svizzera dove li hanno portati, ovvero assolviamo il ladro e condanniamo il ricettatore. Qui mi fermo perché mi rendo conto che parlo a me stesso, che ho un pregiudizio sul populismo e sul popolo, quindi è cosa da aristocratici e snob. Anche se penso sia altrettanto da aristocratici e snob passare dal vezzo del non voto ostentato alla protesta senza sbocco. E uno sbocco in realtà lo vedo, è il buco di cui parlavo all’inizio, un buco che inghiotte le idee in cui sono cresciuto e invecchiato. Ieri sera sentivo un comico, Bisio, che diceva una quasi verità, ovvero che chi ci governerà sarà lo specchio di tutti noi, che noi siamo il problema. E’ vero, noi, siamo un problema, ma non credo che sia solo così: io voglio i migliori al governo e all’opposizione e credo che una parte non piccola del Paese lo pensi. Per necessità, non per retorica, preferisco che mi conduce sappia guidare e dove andare. Molto di più mi piace quanto scrive, e fa dire oggi, Gramellini, sulla Stampa, nell’elogio della genericità. 

Però mi accorgo che confronto, analizzo e mi faccio prendere dalle cose che accadono. Ci soffro, quindi sono fuori dei tempi, questo mi sembra il messaggio che mi arriva. E soprattutto le mie priorità sono solo mie. E’ importante condividere le priorità e poi le soluzioni, è importante perché così si pensa di fare un passo avanti e nella stessa direzione, ma non mi pare sia così. Non ora almeno, passerà, io ho tempo. 

p.s:  http://www.lastampa.it/2013/02/16/cultura/opinioni/buongiorno/elogio-della-genericita-T4HogWgB5QGpcW0XT9GDZL/pagina.html

giovedì rosso

La politica si avvita su se stessa, soffoca nelle proprie spire e nelle bugie che si racconta per credere di mutare ciò che non va senza cambiarsi profondamente dentro. La politica è fatta di uomini, ma non ho mai pensato debbano essere proprio lo specchio del paese, dovrebbero essere un po’ meglio per essere riconosciuti come capi. Una responsabilità più pesante grava su chi ha governato in questi anni, quella di aver fatto emergere, e coccolato, l’animo cialtrone e falsamente anarchico degli elettori spettatori. Di aver privilegiato quelli che cambiano opinione spesso in base al guadagno di personale e di cercare quelli che pensano di non aver nulla da perdere.

Gli italiani non amano la verità, non pensano al futuro proprio, perché mai dovrebbero pensare a quello dei propri figli? Al più una raccomandazione, basta e avanza.

Qui, adesso, voto, è un gioco, che importa modificare la politica, chi governerà, cosa accadrà davvero: sono tutti uguali. Voto e non mi pentirò. Oltre l’evidenza, voto tutte le balle che mi raccontano, voto perché posso farlo e magari non voto. Voto per spaccare tutto, voto perché non m’interessa, voto perché mi lamenterò e sarà un coro. Cosa faccio io per il mio paese? Lavoro, non basta? Del resto non mi interessa, ho già troppe grane per mio conto, voto o faccio a meno, è questa la libertà, no?

Il voto in Italia non ha mai cessato di essere ideologico, i comunisti da una parte, gli “altri” dall’altra, i cattivi e i buoni. Non importa che nome hanno i “buoni”, tanto neppure i “comunisti” esistono più da un pezzo, basta non far la fatica di capire. Da un lato si dice che non esiste più destra e sinistra, dall’altro si evocano i “comunisti”. Si beve tutto per scegliere la parte in cui l’immaginario concentra ciò che non piace. Non importa se è vero o meno, se la realtà è altra : basta uscire da questa noia.

Però esiste una differenza tra destra e sinistra  ed è quella tra chi pensa a sé e chi mette se stesso assieme agli altri. Mica cosa da poco, come la verità non è cosa da poco, ma la verità è fatica, bisogna capire, discernere e poi decidere da che parte stare.

Dicono che è colpa della politica se la campagna elettorale è poco interessante, certo la politica ci mette di suo, ma penso che sia una responsabilità degli elettori chiedere -e chiedersi- cosa accadrà dopo il voto, valutare le proposte, non farsi lisciare il pelo.

Vedo la noia, il si vive una volta sola che emerge, non preoccupatevi passa, per fortuna che c’è sanremo. 

il nuovo e il movimento

Nel nuovo, spesso, vogliamo leggere il dissiparsi delle nostre paure. Forzando la realtà, piegandola verso di noi, come se il nuovo coincidesse con il movimento (e quindi con il succedersi delle esperienze) si pensa di risolvere il bisogno di guardare il lato che c’inquieta, c’illudiamo che il nuovo sia il cavaliere bianco che ci porta fuori dal temere. Questa confusione tra nuovo e movimento, dando ad entrambi un significato positivo, altera il rapporto tra dentro e fuori, fa girare la testa da altre parti. Ma lo specchio è fermo e noi ci vediamo in esso se davvero vogliamo vederci, come pure è fermo il lato oscuro che sta nel fondo di noi stessi, assieme agli  archetipi che c’appartengono, e che sono, come noi, specie. E non occorre fare molto perché i vapori di quell’oscurità emergano nell’insicurezza lieve, o forte, quando siamo soli con noi stessi, e s’installino nella mente quasi fossero un preannuncio negativo.

Ci ameranno, saremo amati, chi ci difenderà dal male? 

Basta muoversi e non pensare troppo oppure guardare in faccia l’inquietudine, sapendo che solo noi siamo malattia e medicamento, e che questo comporta il fermarsi, il togliere veli, anziché sovrapporne. Ma quest’ultima è solo una delle alternative: per molti non occorre affrontare i propri demoni, si può correre sempre innanzi, passando da un’esperienza all’altra e non  chiedersi se si sta precedendo qualcosa oppure se si sia perennemente in fuga da se stessi.

Credo che ognuno faccia il giusto se segue se stesso; io tendo a fermarmi, per riflettere e cercare di capire i motivi dell’andare assieme all’inquietudine, forse per dargli una direzione, ma è una strada questa mia, come le altre.