vento notturno

Il vento è arrivato da ovest e poi si è girato da est. La bandiera sul tetto, l’ha seguito, un po’ confusa da queste folate, e così si è piegata e sfilacciata in brandelli senza gloria. E’ arrivato improvviso ed è durato tutta notte con scrosci di pioggia. Neppure la luce l’ha fermato, ed è parso strano perché qui il vento spira forte solo nei cambi di stagione. Ma lui forse non lo sa e ha gettato contro case e alberi, una fredda pioggia notturna, poi col mattino la neve e poi di nuovo la pioggia. Alla fine è rimasto solo lui, che ora nella nuova notte fa vibrare ringhiere, scuote alberi e rami, schiocca tele, dissemina il buio di rumori. Nel buio cerco d’indovinare la tenda dimenticata dall’estate, la lamiera del cantiere vicino, qualche porta malchiusa che sbatte, e tutti gli orifizi che ora suonano note di basso. Ma il vento non è contento di vuotare le strade, di portare ovunque cose e rifiuti, così a tratti preme sui vetri, li scuote con rabbia e poi per un attimo quieta per illudere il sonno. Non porta profumi come in altre stagioni, è forza senza nome che agita ed inquieta uomini e animali prima del sonno.

vento di NE

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Oggi c’era vento di nord est. Folate improvvise che premevano sugli infissi e sbattevano furiosamente la bandiera sul tetto. A Trieste ci sarà stata un poco di bora. Il mare si sarà riempito di piccole creste bianche e sul molo Audace non ci sarà stato il solito passeggio. Anche in piazza Unità le ciacole si saranno trasferite all’interno del caffè degli Specchi e l’Harry’s avrà ritirato i tavolini. Il vento odora di Carso, di verde giovane e di fumo di legna, vede il mare e si getta giocando con la superficie, respingendo le onde. Prima s’era perso nei vicoli stretti di Cavana, ma è stato un attimo perché il suo luogo è il mare, non le pietre, le case, la città.

Oggi leggevo diari e lettere della grande guerra, raccontavano della vita in prima linea sui colli appena sopra la città, sul Carso. Non c’era una parola del mare che si vedeva in basso. Neppure un accenno alla città. Però parlavano della bora, degli stenti, della fatica e del freddo. Parlavano dei morti e dei feriti su cui passavano per conquistare o perdere qualche metro. Ho pensato che anche la bellezza viene schiantata dagli uomini, che ci si abitua anche alla forca, ma tutto il resto scompare. E non era un giudizio estetico, ma la percezione che abbiamo una ricchezza grande a sentire il vento per quello che è, a vedere ciò che ci sta attorno, a pensare che esiste un futuro.