Ricordo i vuoti pomeriggi di festa, le funzioni nella chiesa, le corse che rallentavano a sera.
Ricordo le nostalgie innominate, la pietra calda di sole, il sedersi a guardare, l’aspettare la cena.
Ricordo le piccole fatiche del vivere, la notte che consumava l’allegria, il gorgo rumoroso della festa.
Ricordo ciò che restava dei giochi, il senso fatato nel riporre, l’attesa del giorno seguente.
Ricordo la libertà di giugno, le sue promesse mantenute, le corse nel sole, i gridi al cielo, il sudore felice.
Ricordo e mi chiedo se il vivere nei giorni, con un nome, un’ora e un posto preciso, ma mai una scatola per riporli in attesa, non sia la nostra malattia, e se il vivere senza il giorno appresso, non manchi sempre di qualcosa.
Abbiamo preteso di chiudere l’ immenso golfo di mare nei canali, che ritmano ora il nostro piccolo nuoto, e alla notte si sente solo stanco battere di braccia e mi chiedo, mentre ricordo, se la pena d’allora che si scioglieva nel sonno, sia oggi la stessa, sapendo che in me, da sempre, convivono il sole e le nubi.
