inadatto

IMG_0654[1]

Ho preso un pennino largo, non troppo però, un inchiostro comprato a Praga in anni senza luce. Ho arginato i ricordi, eppure ce ne sarebbe da dire, ed ora guardo il tratto che prende possesso della pagina, la scia che asciuga rapida, l’azzurro “brillant” che ne resta. Per essere efficaci bisogna scrivere cose brevi, frasi icastiche, sapere che qui tutti possono leggere. Per avere l’attenzione bisogna sollecitare ciò che è conosciuto oppure sonnecchia e s’agita dentro. Il dubbio deve restare generico, la domanda personale mai troppo intima. Rispettare le regole dell’immateriale dove vanno bene gli stati d’animo, non le anime, che al più, occhieggiano. Come stai? Cosa pensi? E il resto? Non conta, davvero non conta, nello storytelling tutto si consuma subito, anche crudo, ma al banco, non con candele e atmosfera, sguardi negli occhi, comunicazione multi canale, quella è altra cosa.

Non stai scrivendo un romanzo, perdio, e neppure un diario. La comunicazione è una scienza, beh magari proprio una scienza in senso galileiano no, però ha delle regole. E delle eccezioni, vuoi lavorare solo sulle eccezioni, bah…

Se penso che le parole sono nate per descrivere il simbolo e ciò che lo genera. Che oltre ad essere più rapide della paura hanno la lentezza del fuoco governato. Che hanno la pazienza dell’estrarre, del confacere, perché i gomitoli non s’aggrovigliano per caso e c’è un ordine interiore. Se penso a tutto questo, allora capisco che l’utilità è facile e il piacere è difficile. Che questo si può condividere con fatica perché in sé inutile. Che ciò che facciamo, apre o chiude. Tutto. E’ semplice no? Cosa apro e cosa chiudo? Mi isolo o accolgo? Capisco che la “sequela mundi” non è solo il conformarsi, oppure il guardare, l’apprendere, il fare nostro, ma mettere in discussione ciò che lo muove per permettergli di aprire, di procedere. Però se questo è un mondo apparentemente aperto e in realtà chiuso, capisco d’essere inadatto, ma l’essere inadatto ha significati differenti e, a volte, si traduce nel piacere dell’inutile, nel non assomigliare, nel dire che chi capisce è nel cuore.  Per quanto, vale, nel mio cuore, ma v’assicuro che per me vale molto e tanto basta.