











Allineando bisogni e soddisfazione di essi, manca sempre qualcosa. Non basta mai, come negli amori migliori. È questo che spinge a scrivere, a mettere in fila parole e concetti, oppure è l’assenza, il vuoto del non compiuto e possibile. I diari sono il dialogo con il sé profondo, cose da adolescenti che non crescono mai. Se è vero che tutte le età della vita coesistono e stanno silenti per dissimulare la complessità e al tempo stesso per non dare troppo nell’occhio ai severi censori della normalità sociale, non sono ferme, agiscono. Così nel poligono delle forze che contraddistingue le scelte, accanto alle necessità troviamo tutto sino all’innocenza e all’assenza di etica sociale. Difficile distinguere le influenze di ciascuna componente, servirebbe un gascromatografo dell’anima che distingua presenze e percentuali, ma sarebbero solo numeri, mentre basta un’ammaliar del bello perché tutto muti e ciò che sembrava importante diventi accessorio. I diari si scrivono a posteriori come noi fossimo il libro e leggessimo dentro una trama da comprendere, il gesto da interpretare, un pensiero che si fa insistente e diviene desiderio. L’adolescente si muove tra forze immani, quelle esteriori che comprimono e regolano e quelle interiori che non tollerano vincoli, che dialogano con i sentimenti. Da un lato sta il giardiniere che costringe e pota e dall’altro la pianta che sboccia e vuole trasformare se stessa, darsi un senso, seguire la pulsione. Il diario raccoglie strade, sentieri, percorsi. La ricerca della verità e del senso delle cose mai facile da mettere in parole.
Per molto tempo, lo faccio anche ora, mi fermavo in una vecchia osteria diventata bar, dove a volte incontravo gli amici. Ci fossero o meno, guardavo le persone attorno. Giovani soprattutto, un tempo erano coetanei o di poco più giovani e poi via via il distacco di età era aumentato. Guardavo, senza intenzione morbosa, lasciando che i gesti, i frammenti di parole mi arrivassero mentre immaginavo le vite. Erano libri da leggere, non ancora scritti eppure già in azione e non meno espliciti. Quando si immagina ci sono almeno due componenti, se stessi nel momento e il complesso di storie, nozioni, intuito ed esperienze che si sono accumulate. Se ci pensiamo bene in fondo tutto coincide in noi, si ricompone e ci porta verso uno specchio, verso la nostra immagine sfuocata ma riconoscibile. Le storie che leggiamo negli altri hanno molto di noi e delle nostre età conviventi, del luogo, dell’emozione che stiamo vivendo, del milieu a cui apparteniamo. Per questo è difficile separare, ma non estrarre e discernere, solo che ciascun elemento, ciascun tratto, che poi verrà tradotto in pensieri e in parole, è un’ approssimazione del compiuto che per fortuna non si compie. Capire che siamo destinati a restare interrotti spinge a fare, a essere, a costruirsi partendo da progetti che per loro natura sono sempre imprecisi. Analizzare l’imprecisione, il confine o meglio il limes, è il tuo compito, caro diario. Che tu sia scritto o meno, parli e rifletti, cerchi tranquillità nella bufera e generi tempesta, questo sembra essere il tuo compito mentre unisci passato al presente e generi futuro.
Il profumo di un luogo, di una situazione vissuta, muta nel tempo e si mescola al presente, è un potente generatore di storia che agisce, ma ha radici talmente profonde e contorte che ciò che lo alimenta si perde dentro. Ci sono verità acquisite, magari da mettere in discussione perché ormai obsolete, sentimenti forti che sono i punti in cui salvarsi, un mescolarsi di rifiuto e accettazione, di desiderio e rinuncia, di tempo senza limite e fretta. Tutto in salsa quotidiana cioè scandito da quelle consuetudini che tengono assieme il giorno, ne sono trama finché non emerge una passione forte e imperiosa che scardinerà ogni priorità. Tu, caro diario puoi essere un insieme di frammenti, un mosaico a cui le tessere si aggiungono e mutano intento e figura, oppure un fedele registratore di indizi la cui chiave resta nel possessore della logica, ovvero in chi ti scrive. Leggere un diario è spiare dal buco di una serratura, si vedono solo parti della stanza, delle figure, si completa con la mente il quadro, ma cosa agisce e sosta nella penombra, negli angoli morti non è dato sapere, però se ne vede l’effetto. E questo, caro diario, tu sei: un libro mastro di effetti e di cause in cui resta un insieme ma la forza del particolare si smorza, per questo vorrei tu fossi un insieme di tracce, di storie che iniziano o che continuano mentre il loro cominciamento si perde in anni, esperienze, vissuto. Un insieme di storie che mescolano il parlato al pensato, la riflessione all’impressione e che il tutto sia un testo aperto che continua, annoda e scioglie, tace e attende il momento propizio in cui la pianta e il fiore, tutt’uno sembrano compiersi ma in realtà, insoddisfatti, proseguono e ancora generano. E’ così strano il tempo, caro diario, così galantuomo nel suo codice morale che ogni cosa trova un posto e si deve decidere se lasciarla o tenerla con noi, ovvero pensare che vi sia una circolarità, un ripetersi che ci rende prevedibili, oppure una linea che con fatica traccia se stessa e di cui tu sei testimone. Ognuno sceglie e in questa scelta mette un bisogno che fatica a distinguere la fuga dalla corsa verso il nuovo o l’antica mancanza dal circolare ripetersi di un rimpianto che muta e si rinnova. Se si toglie la colpa non resta l’innocenza, bisogna ricordarlo, e tu caro diario, non dimentichi, approssimi. Ricordalo.
Un argomento che ho a cuore… ma ho appena capito cosa mi mette spesso in difficoltà, non é solo quando trovo eccessive certe tue lunghezze: é la moltitudine di divagazioni! O sfaccettature 😊
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