sono le sei

Sono le sei. La luce filtra dalla finestra posta nella stanza alla fine del corridoio, lo percorre allegramente e illumina, appena più intensamente la porta aperta della stanza in cui dormo. Un tempo avrei aperto gli occhi per la variazione di buio e mi sarei fermato, indeciso tra l’ultimo frammento di sogno e la coscienza che riaffiorava. Mi sarei alzato dopo poco, avrei riempito la stanza di luce e mentre il caffè saliva lento nella Bialetti, cinque gocce d’acqua sul fondo perché non bruci il primo affiorare, mi sarei goduto i tetti e il primo affaccendarsi di rondini tra le case.

Mi sono immaginato spesso il giorno prima. Il giorno o l’ora che precede qualsiasi cosa. Oggi è il 24 maggio e nel 1915 il forte del Verena, alle 4 del mattino, apriva il fuoco contro i forti austriaci dello Spitz e del Verle sul Vezzena. Più o meno alla stessa ora, la flotta imperiale austriaca bombardava Ancona, Iesi, e la costa adriatica. Cosa pensavano le persone che erano nei paesi vicini ai forti, oppure nelle città che sarebbero state bombardate? Proseguivano la vita di tutti i giorni, avevano bambini che andavano a scuola, vecchi in casa da curare, lavori che assicuravano il necessario e lo proseguivano. Tutto era normale, prima e attorno all’evento, poi le cose gradualmente mutavano. Ho cercato di immaginare cosa facesse mio Papà, nato da poco, in una città tedesca e arrivato in Italia, cosa pensasse mio Nonno e la Nonna e credo che nessuno di loro fosse distante dalle cose di tutti i giorni. Questo è il futuro, quello che può accadere per l’addensarsi dei presagi e delle condizioni che li rendono reali, ma anche ciò che rende gli uomini dipendenti da altro da sé. Così guardo ciò che sta attorno e penso che il suo fulgore, il suo nascondere i particolari al disattento, il vivere in quell’universo parallelo dove ciascuno di noi colloca la sua personale vita fatta di attenzioni e di affetti importanti, sià qualcosa che ci appartiene e insieme ci determina.

Cogliere i segni, leggerli, interpretarli a priori, non a posteriori ché a quelli son buoni tutti, come a dolersi di non aver capito o trascurato, è proprio questo immergersi in sé e godere dell’attimo, vedere ciò che può essere e insieme vivere profondamente. Sono le sei e la giornata si apre oppure ancora sonnecchia cercando un altro sogno da mettere in cantiere per tirare a lungo. Alzarsi e prendere possesso di sé nel giorno, essere nelle cose che non solo si ripetono, ma sono parte dell’abitudine che si è naturalmente costruita per leggere la propria giornata oltre i segni e dentro i segni, oltre l’umore che muterà se sarà preceduto da un meditare sul bello che abbiamo creato attorno. Alzarsi e dire la propria libertà dal tempo, da ciò che altri creeranno per noi, perché la vita è uno sguardo che apprende, che fa proprio il tempo, che rende importante ciò che non lo è e che derubrica dalle scalette della nostra concezione del mondo ciò a cui non possiamo arrivare.

Sono le sei, penso ai tantissimi uomini che ciascuno nel loro mondo fanno, dormono, pensano cose così diverse che solo il pianeta può tenere assieme e il cielo interpretare, sono i mondi paralleli, ciascuno con storie vita e bellezza proprie e mentre penso alle loro, guardo ciò che mi viene dato e sono grato.

2 pensieri su “sono le sei

  1. La gratitudine è un sentimento sottile, quasi impalpabile. Non sempre è presente, non sempre la riconosco subito. Ma stamattina c’è, chiara come la luce che scivola sul pavimento, silenziosa e sicura. C’è nel respiro ancora lento del giorno che comincia, nelle piccole cose che mi circondano e che, senza bisogno di annunciarlo, hanno costruito il mio modo di abitare il tempo.

    Penso a come la vita si compone di segni e abitudini. A come il ripetersi dei gesti non sia una prigione, ma un linguaggio che ci racconta, che dà forma a quello che siamo. Mi alzo, e il pavimento sotto i piedi nudi è tiepido. Apro la finestra e il fresco dell’alba mi accoglie, come ogni mattina, con la sua promessa discreta. I tetti sono lì, le rondini pure, e io sono la stessa di ieri, ma qualcosa è sempre leggermente diverso.

    Il caffè nella moka comincia il suo rituale lento, un mantra per chi sa ascoltare. Un suono che ho imparato a riconoscere tra mille, un respiro caldo che annuncia l’inizio della giornata. Cinque gocce d’acqua, come sempre. È un piccolo dettaglio, ma i dettagli fanno la differenza. Come le parole non dette, come gli sguardi che sanno.

    Mi torna in mente il pensiero di prima. Il giorno prima, sempre lui. Forse è perché il futuro è un’ombra che ci cammina accanto, una sagoma che possiamo intuire solo nei suoi contorni sfuggenti. Mi domando: cosa significa davvero vivere nel presente? È accettare che non possiamo sapere tutto, o è invece il tentativo di leggere ciò che si sta scrivendo, mentre accade?

    Fuori, la città si muove piano. La sento sotto il mio sguardo, la immagino dietro le finestre ancora chiuse, nei passi frettolosi di chi già è in strada. Chissà quanti altri stanno facendo il mio stesso gesto, quanti altri hanno un rito del mattino che li ancora a sé stessi. Mi piace pensarli, questi mondi paralleli. Storie che non conosco, ma che pure esistono, che hanno un loro significato anche senza il mio sguardo a definirle.

    Eppure, nel mio piccolo universo, so che esiste un filo che lega tutto. Forse è il tempo, forse è la memoria, forse è il semplice fatto di essere qui, consapevole di questo momento. La giornata è appena iniziata, ma io sento di aver già vissuto qualcosa.

    Sono le sei e qualcosa in più. E va bene così.

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  2. Mi piace Nadine, è un risveglio che riconosco. È coscienza ancora leggera, passi che sentono ciò su cui si cammina. La luce avvolge e dona sapore alle cose, a ciò che si guarda, all’aria. Il profumo raccoglie il piacere di aprire il possibile, è giorno e non ci sono necessità, tutto attende di essere scelto.

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