La luce era dietro la sedia. Una sedia comoda, abbastanza alta da raccogliere la schiena, una sedia per scrittura e lavoro più che per una lettura che prevedesse la sospensione dello scorrere le righe, il distogliere dello sguardo, il pensiero che toglieva oggetto allo sguardo trasferendolo all’interno. La sedia era collocata in modo da potersi agevolmente girare verso un interlocutore, quindi una sedia per conversare oltre che per lavorare, e in questa posizione, di interlocutore per l’appunto, vedevo il viso controluce, i capelli pettinati con una cura sbarazzina, e non ne capivo il colore proprio per la forte luce che mi abbagliava. Anche i lineamenti avevano una dolcezza e bellezza intuita più che verificata perché il tratto sfumava, e con esso l’età, la stessa condizione sociale, tutto era finito dietro la luce forte e piena. Mi rifacevo alle parole, al tono della voce, ai concetti e alla calma che li accompagnava. Mi veniva da interrompere per assentire, per condividere, per aggiungere la sensazione di benessere che provavo in un processo di comunicazione che si gonfiava morbido e avvolgeva entrambi. O almeno a me così pareva.
wow
attrazione direi…
ciao
Abbastanza… almeno l’inizio. Ciao Lady Nadia 🙂
Un post sulla percezione descritto come una poesia. Complimenti. La percezione è “abitare” nell’essenza di una sostanza misteriosa. Ineressante la descrizione della luce, del non luogo, del non tempo. Una imprendibilità sfuggita forse ai canoni della letteratura ma non certo a quello del l’ispirazione poetica. Mirka
Grazie Mirka, sei davvero gentile a condividere una sensazione che è sempre difficile trasmettere.