è un segreto: il posto, l’aria, il profumo. E non parlatene se non a chi non capisce

I platani capitozzati sono tirati a pergolato, e scendono con fiumi di glicine azzurro e bianco verso il castello di Miramare. L’aria è piena di profumo, l’azzurro viola riempie il cuore, le nari, il cervello. Si può riempire un cuore di colore, di profumo? qui si può fare , così anche i pensieri, poi a Barcola, davanti al mare, sono meno assillanti e la mia vita, le cose che faccio fatica a chiudere, anche quando non ho evitato il dolore, divengono storie.

Una storia, tra le altre, mi è rimasta da pensare, perché non l’ho capita. Ora ho certezza di essere caduto in una volontà senza decisione, così la cosa è rimasta sospesa, il mondo è andato avanti e le cose, il mondo, le vite sono cambiate, ma ciascuna per suo conto.

Pensavo: ecco in questa mancanza di comprensione profonda si consumano molte storie, noi proclamiamo la leggerezza come strumento per non lasciare orme sulla vita, pensando di danzare, mentre in realtà siamo fermi e simili ad alberi nei nostri percorsi. E se guardassimo bene l’albero del nostro vivere, vedremmo infinite ramificazioni che, al più, finiscono in una foglia, rami che non saranno mai fusto, ed un tronco, solido, piantato nel terreno in cui ci è dato vivere. Il tronco ha un bisogno enorme di crescere, di essere albero – quell’albero- e il resto che compie, con volontà e leggerezza, sono tentativi di luce. Essere albero esige determinazione per la propria vita, e pur vivendo del rapporto con gli altri, donando profumo e ricevendo luce, la determinazione alla fine riguarda solo noi stessi.

Pensavo, mentre il mare e il profumo di salso avevano tracce di glicine, a quanti silenzi chiudono un lasciare qualcosa per cui si è patito e gioito, e quanta forza è necessaria per dare espressione a quel silenzio, che è un nostro parlare e serve a dare senso ad una sofferenza, che sarebbe annacquata dalle parole. Forse solo la consapevolezza del perché si soffre chiude le sofferenze, pensavo, e ci riporta a noi e ci fa capire cosa amavamo davvero in quelle storie che si chiudono. Soffrire non dà una ragione, ma un significato a ciò che si prova.

Io, pensavo, per anni non ho capito che la parte maggiore di ciò che mi impediva di essere sereno nell’ andarmene era il senso del fallimento, e siccome non l’ accettavo, riprovavo, come se una sconfitta avesse una prova di riserva. E’ la sindrome del giocatore che pensa sempre che la prossima mano gli permetterà di rovesciare la fortuna avversa e di riprendere se stesso. Ma in realtà non è così, quando subentra la comprensione, il gioco, quel gioco, è perduto, non coinvolge più. Resta un buco dello strappo e si deve attendere che si riempia. e qui, pensavo, che cercare di capire perché non si è soddisfatti sembra sia la necessità di colmare quel buco. Ma un riempire è un fatto statico, non considera la vita come qualcosa che procede. Ecco, avrei voluto ricordarmi sempre che la vita procede, che quello che avevo era meno di quello che mi stava attorno, e che sentivo nel colore, nel mare, nella sensazione di ben essere. E che guardandomi esclusivamente dentro, mi perdevo molto della vita che pullulava e chiedeva di essere letta. 

Non c’era tristezza in questa percezione di essere fuori e dentro altro, anzi il confronto con il molto di buono e bello che avevo conosciuto, portava allegria, fiducia. L’allegria che ci permette di sbagliare e poi di riprovare, con mezzi uguali, e diversi, con attenzioni che ci sembrano nuove, con il senso che davvero c’è molto più fuori di noi che dentro i nostri piccoli razionali, pensieri, che prevedono il futuro.

Siamo solo maghetti di pianura consegnati alle arti magiche del già visto, provato, vissuto, all’ illusione di vivere che si consuma, se ci si sofferma in questo sapere senza meraviglia. 

6 pensieri su “è un segreto: il posto, l’aria, il profumo. E non parlatene se non a chi non capisce

  1. E metterci una foto di quel luogo delizioso?? 🙂

    Si può riempire il cuore oltre che di colori e di profumi anche del meraviglioso rumore del vento e del mare nel silenzio di quello che vi è intorno.

    Meravigliosa la canzone di Fossati, grazie.
    Buona serata Will

  2. Riconoscere perchè si soffre come fine della sofferenza. Sicuramente il perchè E’ alla fine della sofferenza, il capolinea di un percorso che può durare un tempo imprevedibile non accelerato da ostinate domande. C’è un punto in cui si sanno un po’ di cose sicure sull’accaduto e sembra che la sofferenza sia tutta spiegabile in una circonlocuzione. Penso che si intellettualizzi troppo, anche sui rapporti, quando molto leggermente si sa riconoscere ad un livello molto più superficiale cosa ci provoca un disagio. Il frequente intasamento narcisistico di tante storie, l’incapacità a far scorrere perchè ciascuno è preso in se stesso e da se stesso, il ripiego sui propri temi. Uscire da sè è estremamente difficile, come dici ‘guardandomi esclusivamente dentro, mi perdevo molto della vita che pullulava e chiedeva di essere letta’ ho un immediato moto di riconoscimento, tuttavia non si ‘stabilisce’ che ci si debba guardar dentro, non è abitudine come prendere un caffè a metà mattina; ci si guarda dentro per una ragione, si smette di guardare non per volontà ma perchè sono risolte le ragioni del restare aggiogati a se stessi.

  3. L’intasamento narcisistico fa parte di noi, in misura maggiore o minore, credo non faccia neppure male se è moderato e se non si accompagna al gusto/bisogno della sofferenza: piuttosto che riconoscermi soffro, anche perché questo mi evita di scegliere. Il vizio di razionalizzare tutto me lo porto dietro, cerco di diluirlo con il sentire, ovvero con il lasciarmi andare senza comprendere/prevedere/condurre tutto. In questo sentire c’è l’uscita da me, perché per sentire devo usare i sensi canonici e almeno un paio in più. Quando si riesce a guardarsi dall’esterno, non si è schizofrenici, ma semplicemente si è superata un’abitudine e un tabù. L’abitudine è quella del considerarci comunque il centro del mondo,e guardandoci ci si vede come siamo in realtà. Il tabù è quello dell’intangibilità della nostra cultura interiore, se la si considera un prodotto di un’educazione se ne deve considerare anche la capacità di mutare e di evolvere. In entrambi i casi il giogo viene lasciato a terra e il corpo procede più leggero.

  4. Attraverso me stessa leggo il mondo. Immagino di avere all’altezza del petto una finestra. Da lì può entrare tutta la meraviglia dell’universo. La finestra però si può aprire solo da dentro.
    Ciao Willy

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