Era fuori luogo vantarsi dei figli, o degli altri parenti prossimi, la discrezione e il tener serrato l’orgoglio faceva parte dell’educazione. Era un eccesso, i figli crescevano con l’idea che nulla o quasi fosse sufficiente, che ci fosse sempre un obbiettivo più in alto da raggiungere, che la considerazione delle madri e dei padri fosse surrogata dall’amore, quello magari non mancava, ma i risultati erano altra cosa. Quindi mai fermarsi, mai essere contenti, cercare di eccellere, poi dipendeva dalla riottosità di ciascuno, dall’indole, come si diceva allora. E quella, l’indole, a ceffoni o altre punizioni, si correggeva. Era troppo, ma non guastava quella discrezione che teneva nel circolo delle parentele e degli amici l’evidenziare i meriti, con qualche mezza parola, qualche apprezzamento. L’ostentazione era espressione di volgarità. A questo sfuggiva il parente, da citare come esempio, e a seconda di chi comandava c’era sempre un congiunto, più o meno lontano, da ascrivere alla parte in auge nel comando. I nonni e i padri socialisti, furoreggiavano, anche i liberali, però vecchio stampo si sottolineava, non mancavano. Una curiosa prevalenza di ascendenze che, vista la frequenza, di certo avrebbe dato a queste formazioni politiche la maggioranza del paese, ma visto che non era stato così, forse tutti questi padri pensavano ad altro, Più occulti, c’erano quelli che, nel cuore, erano sempre stati da quella parte, non importava quale, ma da quella parte, quella dell’interlocutore, ed era quella che li aveva sempre guidati. Anche nel segreto dell’urna, certo. Misteriosamente assenti, o espunti, i fascisti. Strano per un paese che nel 1940 aveva 75.000 antifascisti censiti dall’Ovra e il resto? Probabilmente allora, come adesso, l’antipolitica e l’indifferenza erano la vera maggioraanza del Paese. Ma di queste cose si parlava poco, casomai c’era la piazza per manifestare la curiosità e la presenza politica, a volte il bar, l’osteria, le case erano più riservate.
Sui successi familiari prossimi, c’era il riserbo, anche la scuola veniva derubricata nel: va bene, è stato promosso. Le bocciature erano un’onta, non un’occasione per capire di più, quel figlio riottoso. Era importante non mostrarsi troppo e il non vantarsi, era un bel tratto di non chalance, di stile. Forse per questa educazione, anche adesso, mi disturba il parente esibito, l’ostentazione che spesso dietro l’ illustre, riscatta i tentativi maldestri d’essere poco riusciti. In fondo è facile trovare schermi esterni e senza scavare troppo, tutti abbiamo di chi gloriarci gratis, anche se trovare chi ha fatto del bello, oltreché del buono, magari, è più difficile. Basta? Noi, di quali glorie discutiamo con noi stessi, cosa vorremmo davvero esibire? Nell’epoca dell’autostima, delle prestazioni incrementanti, vendersi bene fa parte della considerazione di sé, ed invece l’intraprendere silenzioso è messo in disparte. Sarebbe bello dire pianamente ciò che si è, non richiamare alle armi i parenti che hanno fatto quello che noi volevamo fare, mostrare la fatica, le mani, i sogni sognati e affermare sollevati: ci provo, vivo, a volte m’è piaciuto.
Effettivamente era così anche a casa mia: non si usava parlare dei successi più o meno importanti dei figli nè dei loro meriti,
nè in loro presenza nè in assenza (mia madre ha sempre sottolineato anche quest’ultima cosa).
Qualche volta, a dire il vero, non sarebbe guastato però ricevere qualche gratificazione.
Ma tant’è, si usava così, almeno per la maggioranza.
E considerata tale educazione, l’esibire non è nel mio modo di essere.
E mica mi spiace. 🙂
Sì, sarebbe veramente bello:
dire pianamente ciò che si è, non richiamare alle armi i parenti che hanno fatto quello che noi volevamo fare, mostrare la fatica, le mani, i sogni sognati e affermare sollevati: ci provo, vivo, a volte m’è piaciuto.
🙂
Buon fine settimana, Will, ciao
i torinesi sono campioni dell’understatement…conosco il meccanismo alla perfezione…ma io devo avere qualche ogm che mi gira nel sangue, perchè domenica andrò a ritirare un piccolo premio per un mio racconto che ha avuto diritto di essere pubblicato e io sono molto fiera di ciò, lo dico senza pudore, ci porterò mia madre le ragazze e le mie amiche e dopo tutte a fare merenda insieme. perchè è bello, perchè sì, perchè io sono vanitosa per le cose che scrivo e se le scrivo bene è giusto che siano lette e riconosciute.
e vaffanculo alla modestia e al senso cattolico dell’essere modesti. OH.
La tua è un’indagine civile,rivelatoria e protestataria insieme,tipica di certi ambienti (medio -alti) in cui si ritenevano giuste più le punizioni (corporee o psicologiche) che gli attrezzamenti per doti naturali e relative conquiste.,con conseguenze di portare a ribellioni e a problematiche chiusure in sè stessi e,la ricerca di quel mancante che sarà continua e tormentosa quasi a volere ripercorrere uno “status” esistenziale imprigionato,per provare a liberarlo attraverso un’introspezione quasi misticheggiante ma severa per impegno morale,sempre però ai confini tra mito e storia,immaginazione e realtà,ripiegamenti improvvisi quanto dolorosi all’interno di una coscienza sovente ferita e delusa,altre volte pronta all’entusiasmo e al grido d’affermazione recisa.
(L’anima intorcigliata dai suoi stessi lacci gemente assai più dei sensi soffocati dall’esterno)
Diverso comportamento per i ceti modesti.Lì c’era il rigore della disciplina,si,ma anche il premio dell’apprezzarne i doni naturali e gli sforzi impiegati per raggiungere un risultato
Personalmente,ai miei figli,ho dato,insieme all’orgoglio d’essere “com’erano”,la gioia ampiamente manifestata per qualsiasi loro conquista,severa solo sui valori,che a volte potevano restare alla superficie o presi un pò sottogamba,con qualche urlo “squillante” o “megafonico” che non riuscivo a controllare,la fiducia costruita sulla continuità dell’attenzione (oculata mai da gendarme) per un futuro di cui sarebbero stati “loro” i protagonisti,io…in disparte se voluto da loro.
In parte vi sono riuscita e,questo mi è motivo d’orgoglio verso loro e verso il mondo intero,per altre parti invece,qualcosa non è andato,sicuramente,anche se l’intenzione (volta al loro e al mio bene) era piena e senza alcun buco.
Purtroppo anche nelle migliori intenzioni qualcosa di “altri” ci resta pur sempre addosso.
Anche quando studiavano,ho cercato di non sostituirmi col “facile” per ciò che desideravano avere (motorino-moto-viaggi-feste di compleanno un pò”alla grande” ecc) pur potendolo fare e, ora che sono autonomi,sanno arrangiarsi molto bene nel pratico come nella creatività, nell’onestà e senza bisogno di balie il mio essere fiera continua anche a distanza, anche se spesso qualche colpo di singulto lo dò.Mirka
Stavolta niente vabbuò Crì, è una gran bella cosa questo premio, una conquista bella e tutta tua. E neppure la prima. Partecipo alla tua contentezza, mi metto buonino seconda fila, che la prima e’ piena di femmine 🙂 ed applaudo e sorrido. Brava, brava, brava 🙂
tre gianduiotti tutti insieme come premio anche per te 🙂
Sempre birbante la signorina Minnie 😉
Nella mia famiglia d’origine non vi fu mai attenzione allo “stile” con cui esprimere ad altri il successo o l’insuccesso dei figli. Per i miei genitori lo studio era una libera scelta e come tale si doveva esserne responsabili e onorarla. “Se vai male, vai a lavorare”. Gli altri venivano ritenuti estranei ai fatti.
Rigorosamente coerente, anche i tuoi mica scherzavano mOra 🙂
A me è stata insegnata e vorrei direi imposta una “maniera di vita” che non prevedeva mai il vantarsi, né dei successi, né dei beni materiali, né della bellezza.
C’era la soddisfazione di tutte queste cose quando c’erano, ma c’era ancor più forte il concetto del non far sentire mai gli altri a disagio, costretti a complimentarsi per dovere, sentendosi magari necessariamente inferiori.Era come un tributo alla sensibilità altri prima che alla propria.
Era quello di casa un verbo di matrice socialista e cattolico anche, tipico di tanta realtà italiana, anche meridionale, checché se ne pensi.
L’idea era che il merito, la capacità, il saper fare in qualunque settore, dovesse essere riconosciuto sul campo: un voto alto a scuola sanciva la tua eccellente preparazione nel luogo adatto per farlo, ma mai si sarebbe andati a raccontarlo ai vicini, per esempio.
C’erano degli eccessi in quella dura scuola educativa, sì, anche tanti, ma crescendo ho imparato a ridimensionarli, comprendendo il valore inestimabile di quella sobrietà, come si direbbe oggi, che mi ha salvato per sempre dalla volgarità dell’esibizione fine a sé stessa e che mi fa sentire abbastanza forte nelle mie risorse di dentro per attraversare un’epoca che cammina in direzione decisamente contraria a quella scuola educativa.
Perché alla fine, se rinunci all’esibizione gratuita e non necessaria delle tue capacità devi avere una grande forza interna e la fiducia che quel che sei verrà riconosciuto, magari non platealmente ma da chi ha occhi e orecchie addestrate sì.
E’ una forma di orgoglio elitario? Forse, ma sempre meglio della modernità ostentata di cui siamo costretti a subire overdose a ripetizione.
Bel tema, Willy, decisamente controtendenza.
pur nella differenza d’anni, abbiamo ascendenze ed esperienze comuni Tereza, di quel tratto, che magari allora poteva essere meno rigido, apprezzo ancora adesso il modo di vivere le cose. Devo dire che con me qualche danno l’ha fatto quando mi aspettavo di veder riconosciuti i risultati che ottenevo in politica, ad esempio, senza proporli, e non parlo di molti anni fa, ma con il senno d’adesso devo dire che è stato meglio così. Sai cosa non difende in questo modo di vedere il mondo, il fatto che ti lascia indifeso rispetto a chi vuol prendere il tuo posto, non hai mai detto i tuoi risultati, rispetto a chi si vanta, o pretende? sembra che tu non ne abbia avuti.
Ciao Tereza, bentornata 🙂
Mi vorrà scusare il padrone di casa se stavolta non lascerò un commento alle sue parole, ma se mi congratulo con Tereza per la sua riflessione che condivido completamente e apprezzo tantissimo.
Alla prossima per un commento ai tuoi pensieri, Will, ciao 😉
“Era fuori luogo vantarsi dei figli, o degli altri parenti prossimi, la discrezione e il tener serrato l’orgoglio faceva parte dell’educazione.”…
qualcuno non la pensava così…pare… 🙂
ciao willy
mi piacciono tantissimo queste pubblicità, quella in cui:”ha un’età difficile, risponde”, in particolare. Ciao Arya 😉