Abbiamo bisogno di una misura, per ciò che vediamo, per ciò che sentiamo. Ovunque.
Stamattina il prato è inondato di sole, secchiate di luce buttata per ridere, per fare felici.
L’aria corre sulla grande piazza, tra gli alberi, le statue, l’acqua, l’erba, i ponti di pietra. Quanta aria tiepida e nuova? Volumi, fiumi, correnti come i flutti di Leonardo, ricchi di ricci e piccoli vortici.
E tra questo fiume di luce e d’aria che non si vede, ma si sente, persone che parlano, prendono il sole in costume, sorridono sedute sull’erba, sulla pietra porosa del bordo d’acqua, sotto gli alberi. E non sanno perché oggi stanno più bene del solito, ma lo vivono.
Come si misura lo star bene? E la felicità? Il primo quando si riempie il contenitore che abbiamo dentro e che dice ad ogni cellula di vivere senza pensarci troppo. La seconda quando qualcosa che ha buon sapore, trabocca.
Passandoci in mezzo vedo l’allegria inconsapevole che corre, e sembra non avere misura, ma io la so: è essere lì, adesso, ora e così fischietto.
E ho anche fame.
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