Molti hanno, il senso dell’utile, ci conformano le vite. Altri, pur capendo cos’è utile, perseguono l’inutile. Così, per confronto con me stesso, ho maturato il senso dell’inutilità, non del vivere, ma del mio lavoro e di molto d’altro. E la cerco l’inutilità trovandola utile nel momento, ma sapendola. Anche di questo mio scrivere, e in parte pubblicare, così legato al momento che si spegne, che apre più domande di quante ne risolva, vedo l’inutilità. E’ parte di quell’inutile che potrebbe portare all’inazione, ad essere muto, non perché non ci siano più cose da dire, né che manchi come dirle, ma proprio per il loro essere nel momento e nel loro disperdersi, sicché poco o nulla resta. E nel pensare il confronto con ciò che davvero servirebbe, ci si sconsola. Naturalmente poi ci si contraddice e tutto è relativo, si continua a fare e scrivere, come ogni guitto recita, ogni musicante suona, ogni giornalista di cronaca scrive. L’assoluto è un pungolo per il delirio di onnipotenza, ma questo ha pur sempre un limite. Però in questa inutilità relativa faccio cose, mi muovo e se di rado son soddisfatto, comunque faccio. Come molti. E non mi lamento, è tutto scelto, anche coltivar l’inutile, per cui nulla può essere imputato ad altri. Eppoi lagnarsi è un atteggiamento che non m’appartiene, si dovrebbe aver pudore del sé e dell’esibire altre nudità che non siano quelle del corpo. Invece ci viene insegnato altrimenti e così ci si impedisce di capire perché ci sia insoddisfazione e come questa sia più costante della felicità. Il fatto è che ciascuno di noi ha radici oscure in qualcosa che accadde e mutò, ed entrambi i modi di sentire, felicità e insoddisfazione, sono in quella radice che per strade seppur diverse portò ad analoghe conclusioni. Certo in differente misura, ma c’è una radice comune, una svolta che portò a scegliere tra utile ed inutile, tra vantaggioso e gratuito.
In fondo chi persegue l’inutilità mantiene l’ingenuità di un bimbo che pone nella vita la rappresentazione di se stesso e la considera un gioco che non finisce, e non lascia traccia, perché non ce n’è bisogno e ogni giorno è attesa del nuovo che non si esaurisce mai. E così procede tra scoppi di felicità e improvvise malinconie.