Indignez-vous !

Il vecchio partigiano Stéphane Hessel c’aveva chiesto di indignarci, ma nessuno non s’è indignato davvero abbastanza a lungo per cambiare il mondo. E’ morto, il vecchio partigiano, senza saperlo, forse sperando che le parole potessero mettere in moto cuori e cervelli, com’è stato molte volte. Ora non funziona, o almeno non sembra.

Confesso che ho vissuto e attorno a me vedo molta difficoltà a vivere. Forse per questo mi confondo, ho l’impressione di avere verità e idee comuni, ma la realtà mi contraddice. C’è sofferenza e non c’è protesta. Il mio secolo è a cavallo tra un secolo che non finisce ed uno che non inizia. Hobsbawm l’ha definito il secolo breve per contrapporlo al lungo secolo 19° , ma chissàà se lo pensava davvero vista l’opulenza di cui si è nutrito il ‘900. Un secolo bulimico la cui voracità si estende a questo secolo. Un secolo che ha divorato e divora, tempo e vite. Non si è concluso nulla o quasi, un secolo inconcludente, abitato da tragedie e persone inconcludenti, da ideologie mutate nel loro peggio, da lotte che si sono placate non nel cambiamento, ma nella stanchezza, forse per questo si è vissuto così tanto.

Indignatevi. Per la velocità che nasconde la ragione. Il secolo breve era cominciato con l’ideologia della velocità.

Indignatevi per tutto ciò che vi lasciate togliere. Oggi fate la spesa la domenica e lavorate sempre.

Indignatevi perché il giusto non è ridurre uno stipendio abnorme, non solo, è abolire il privilegio che l’ha permesso, che discrimina, tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha. E’ questo il confine del potere e c’è chi sta una parte e chi dall’altra, io scelgo quella che non ha privilegio.

Aver derubricato la lotta di classe, non ha tolto le classi, ma ha fatto perdere l’idea di eguaglianza. Ha tolto sostanza al rapporto tra le forze che dovrebbero gestire l’equilibrio tra economia e società, tra diritti e ricchezza. Così si è vanificato il diritto comune all’eguaglianza sciogliendolo nell’acido della finanza e della speculazione. Non il lavoro, ma il denaro è diventato il soggetto che riguarda l’uomo. Basti pensare che ciò che si ritiene un diritto non negoziabile, quello alla vita, è ogni giorno, in occidente, come nel resto del mondo, messo in discussione dall’esistenza di un lavoro, di una sua continuità, oppure di una pensione, di un sussidio. La Grecia insegna molto, ma non s’impara nulla.

Indignatevi perché si è accettata la povertà come funzionale, la diseguaglianza come elemento strutturale e come motore della mobilità sociale, seppellendo la possibilità di un’eguaglianza vera di base, di una valutazione del merito. La perdita di diritti ne è conseguenza perché in questa visione, sono stati monetizzati ed era naturale quando si è affidata alla sola parte del capitalismo, all’impresa e alla sua proprietà e non al lavoro, il compito di condurre il mondo. Il denaro compra i diritti e gli effetti si vedono con le diseguaglianze che crescono, con la democrazia che diminuisce.

Indignarsi qui, oggi, ha un significato ben diverso da ciò che abbiamo attorno, è la protesta che analizza, lotta e cambia la società, ecco cosa manca oggi all’occidente. E ciò che manca contiene la speranza del cambiamento vero, permanente, contiene la maggiore equità, ma nel lessico comune invece, la speranza si è trasferita nella crescita economica. Per questo mi confondo e vedo che i migliori ingegni, la meglio gioventù sente l’estraniazione dall’occidente. Non pochi scelgono di esercitare un cambiamento nel terzo mondo piuttosto che a casa propria, nelle situazioni al limite, piuttosto che nella normalità. Mai come ora la normalità ottunde, e addormenta la speranza. Mai come ora è necessario che sia il quotidiano a verificare se ciò che ci attornia ci va bene oppure no.

smussare le punte

In questi giorni di giuste proteste della mia vecchia frattura alla colonna, penso di essere fortunato di vivere qui ed ora. In fondo ho solo dolore e neppure sempre. Certo a tratti è lancinante, ma è per poco e perché faccio qualcosa che non dovrei.  Vivere con questa compagnia esigente significa smussare le punte del dolore e non obbligarsi a fare cose incompatibili con l’acuzia del momento. Non è per farmi consolare che ne scrivo, piuttosto per il pensiero che se fossi nato un secolo fa ed avessi fatto il minatore o l’operaio, sarei stato licenziato, senza tutela, destinato alla miseria, alla fame. O peggio, nato qualche anno dopo, essendo dissidente, sarei finito in qualche campo di concentramento per motivi politici, e in quanto non utile, semplicemente eliminato. C’è una civiltà nel dolore, nella tutela dello star male che è sintomo di un tempo, di un’alta concezione dell’uomo. Se non possiamo tenerci in sintonia, se non per brevi tempi, con il dolore altrui, possiamo sapere che esiste il dolore, smussarne le punte, considerando la natura etica della sua esistenza nelle scelte personali e civili.

Lasciar soffrire, perché anche il dolore ha una sua libertà, ed al tempo stesso operare per diminuire la sofferenza, è espressione di quel prendersi cura civile che contraddistingue una società partecipe. Se ci si pensa, quando non viene rispettato e lenito il dolore, a qualsiasi livello, è l’uomo a non essere rispettato. Vale per i deboli, ma in fondo, anche per chi sta bene e si pensa forte, perché il dolore come le radici, pesca e si dirama dappertutto.

Se non capisco chi sta soffrendo, far soffrire non mi costerà poi tanto. Lo sa chi riceve violenza, qualsiasi forma di violenza. Dovremmo pensarci anche in occasione delle tante ricorrenze, domani ce n’è una dedicata al dolore della violenza sulle donne, che scorrono via senza lasciare traccia, come vi fosse un rifiuto del dolore altrui, della sua evidenza che non diviene fatto educativo. Se non veniamo educati all’esistenza del dolore, lo rimuoviamo, come la morte, pensiamo che solo il piacere e l’attimo siano le dimensioni della vita. 

Il mio dolore è acuto, ma breve, banale nella sua genesi e poca cosa. Posso curarmi, un massaggio gentile mi farà bene, qualche antiinfiammatorio, e passerà. Anzi come occasione di riflessione mi è pure utile. Ci sono dolori sordi e diffusi, che non hanno analgesici, sono privi di comunicazione, tutela e solidarietà. Dolori che a volte solo la fuga può allontanare, ma quanti generi di fuga contempla la nostra mente?

Sono fortunato perché vivo qui ed ora, perché posso dire, se voglio, condividere. E bisognerebbe pensarci a questa fortuna, quanto si smarriscono le coordinate di dove si è e si guarda distrattamente altrove, dolore altrui compreso.