la pace del cielo è somma di guerre d’aria e di nubi

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Il cielo ha addensato forze nella notte, si sono svolti scontri immani nel buio, energie strattonate, confuse e infine sommate con immane potenza, sinché s’è rotta la trama del cielo. Così è iniziato un diluvio di acqua e di vento, che ha dissolto i sonni leggeri. Nel buio della stanza, il rumore sul tetto era dapprima morbido, poi è cresciuto improvviso, come di pioggia scagliata con rabbia. Il cielo non ha sentimenti, ma c’era molta violenza in tutto ciò, tanto che non soddisfatta, la pioggia, s’è mutata in grandine fitta, a scrosci. Si sentiva la bandiera sul tetto schioccare nel vento, e il rumore secco del ghiaccio faceva quasi male. Ci si rintana nel letto, s’ascolta e sembra non finire, si pensa ai rami spezzati, alle rose spogliate di petali, al gelsomino, ai fiori nuovi e a tutte le piante, che fiduciose hanno mostrato le foglie al cielo. Nel tepore del sonno perduto, si riflette sulla difficoltà della quiete e della bellezza. Così, infine, è scoccato il silenzio. Di colpo. e un’acqua gentile ha cominciato a ruscellare verso la grondaia, come a detergere le piante, il vicolo, le case. E il sonno, che tornava dopo la furia, s’è sciolto nella pace ritrovata, perché l’ira del cielo non ha memoria. 

e per chi vuole ascoltarla tutta, Kleiber è sempre una gioia e una scoperta.L’applauso finale è una delle cose più emozionanti che abbia mai sentito alla fine di un pezzo musicale. L’indecisione dopo il silenzio, la paura di rompere una magia con l’applauso, poi l’entusiasmo liberatorio e la sensazione dell’ assoluto che si era udito e non si poteva ripetere. Commovente e unico :

Finisce la triste stagione

Dopo giorni di pioggia,

il sole accarezza bianchi piccoli fiori:

tra foglie, il gelsomino rifulge, 

la lucertola annusa

e veloce scompare.

Sopra l’orlo dei tetti, trabocca

profumo ancora insicuro,

e nel cielo d’ uccelli e nuvole bianche,

sono attimi di piccola, intensa, felicità.

presenze

Mio zio aveva un nome strano, molto bello e poco adatto a lui: Gelsomino. Non era dolce, solo silenzioso e per conto suo. Mia madre sottovoce diceva che era “un salvadego”. Compariva in casa verso fine ottobre, dopo la partenza di mia zia Adele.  Non si amavano, loro, anzi si evitavano, ma entrambi “amavano” noi. Adele veniva con le figlie, che restavano poco, al contrario della madre. Peccato perchè erano divertenti, grandi, in attesa di trovare mariti diversi da quelli che avevano, con me giocavano e cantavano. Anche i loro nomi erano finalmente normali: Lina e Gabriella. Ben strana questa storia dei nomi in famiglia, queste cugine erano tra le poche dicibili, le altre si chiamavano Teonilda, Irlanda che aveva sposato Italo, Pulcheria, ida, Oreste e via andare. Una rassegna dell’ottocento trasfusa per chissà quali rivoli nelle nostre famiglie collegate da almeno 300 anni di presenza nello stesso posto. Zia Adele, quando era misericordiosa, stazionava per un paio di mesi, da fine agosto fino all’arrivo di Gelsomino, con uno scambio consegne, utile alla disperazione di mia madre. Zia Adele non si dava ragione del molto perduto e cercava le tracce della famiglia sciamata all’estero, trovava tovagliati, mobili, i resti degli arredi dissipati. Quindi aveva una attività programmata di incontri, ricerche, ricordi patrimoniali che si spingeva sino a chiedere le “onoranze” del raccolto ai cugini che coltivavano i terreni di famiglia. Molto diverso, lo zio Gelsomino, che non si capiva cosa facesse. Si alzava al mattino presto e dopo colazione, spariva, credo stazionasse all’osteria o nelle piazze vicine, combinando affari complicati per le nostre teste semplici. Tornava a pranzo, si sedeva e in silenzio mangiava con il cappello in testa, altra gioia di mia madre, per poi uscire fino alla cena. Il piacere reciproco durava fino a dicembre, poi com’era arrivato, in silenzio andava, immerso nei suoi misteri. Mia madre era finalmente tranquilla, disinfettava i pavimenti con la gommalacca e l’alcool, per eliminare gli animaletti dell’autunno, addobbava la casa. Una breve pausa e a natale, con i loro nomi strani, le cugine e zie sarebbero passate a far gli auguri.

Non Gelsomino, nè Adele che, dopo aver svernato in riviera oppure sui colli, sarebbero tornati l’anno successivo  sempre misteriosi, sempre uguali, con la forza dell’abitudine che si fa diritto.  

Finchè un giorno tutto s’è dissolto e mia madre ha sorriso.