Una farfalla batte le ali in Brasile e si scatenerà un uragano nel Texas. In un incendio a Odessa, per gli incidenti, muoiono 44 o 46 persone (come fosse lo stesso) e un conflitto si andrà a generare chissà dove e quando. Tutto sembra collegato nella teoria del caos e tutto affoga nel discontinuo, nella disattenzione, nella percezione del particolare. Anche ciò che si vede e per un momento ci riscalda il cuore: il cielo, i fiori, il verde dei prati sono per gran parte del tempo ignorati e non fanno parte delle nostre vite vite se non per assenza. Minuzie, sembrano e non sono. Nel contempo, piccoli desideri, conferme di difese efficaci contro le paure senza nome (ché difficile e faticoso, ma esorcizzante è dare nome alle paure) prendono posto e urgenza. Il quotidiano è una grande coperta e una torre ben munita che difende contro l’irrompere delle idee più eversive: che la bellezza esiste e vive anche senza di noi se non la cogliamo, ad esempio. Che ciò che sembra importante è nel contesto sbagliato, che il mondo e le cose sono indifferenti rispetto al particulare se non vengono collegate a noi stessi. E che tutto questo comunicare, quando è privo d’amore, è solo rumore.
E’ la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, e ben rappresenta il punto di partenza per entrare nella teoria del caos, ma chi mai l’ascolta davvero? Se lo facessimo, le vite muterebbero e tutto, compreso il debito pubblico, la bce, e tanto di quello che riempie i telegiornali avrebbe meno ragione d’assillare, semplicemente perché ci sarebbe più attenzione per l’altro e per ciò che ci circonda. Eversiva, davvero eversiva l’attenzione.