fulvio

La sera mi aspetta davanti alla porta del bar di Anna. E’ bellissimo Fulvio. Gli parlo a bassa voce, gli faccio i complimenti, per un po’ ascolta e poi mi guarda interrogativo, alza la testa e offre la gola bianca per una carezza. Nell’andare al dunque, credo sappia che regala molto più di quanto riceve. Fulvio è il gatto del corso e del vicolo, e il nome non è casuale, è il suo pelo fulvo di gatto comune europeo, bellissimo e lucente. Ha un collare blu con biglietto da visita: guarda bene chi sono, sembrava dirmi la notte in cui l’ho sequestrato in casa, pensando che fosse un gatto smarrito. Lui, accondiscendente, ha sopportato la mia ignoranza sulla sua vita di gatto libero e domestico assieme. Si è lasciato accarezzare e con pazienza ha aspettato la libertà. Tra noi l’intelligenza era dalla sua parte. E’ così anche adesso, non gli basta un miciomicio al sottogola, se coccole devono essere, siano!  Nel caso tratta con sufficienza la mia fretta, si gira e se va.

 

aromatiche impudiche

Nella vasca delle aromatiche c’è fermento. 

E confusione.

Il rosmarino s’è accomodato, si butta indifferente, verso il vuoto, esondando con fiori viola-azzurri.

Il timo, le mente, la santoreggia, parlottano tra loro di questo prepotente, ma non hanno timidezze e  serpeggiando, già meditano rivalse.

Il basilico cresce, rorido di verde e sapore, nell’ attesa dei matrimoni estivi, vicinoc’è l’erba cipollina, già piena di fiori violetti, e steli magri. Fanno gli alternativi, si parlano poco.  

C’è un’ impudicizia esuberante nelle aromatiche: mostrano, fanno sentire, non s’accontentano e vogliono essere viste.

Solo l’erba luigia  vive ritirata nell’angolo E’ una signora cagionevole, che ogni anno fa temere per la sua salute, ma anche quest’anno le foglioline verdi, quasi unghie di neonati, già cospargono di colore e di profumo di limone, il tronco e il ramo. 

Chissà dove hanno svernato le api e gli altri soggetti volanti che si muovono con gran succhiare curioso tra fiori omologhi. Spollinano, incuranti delle folate di vento, sono attratti da ormoni che chissà dove insemineranno.

La meraviglia di ogni anno si ripete nella vasca di vetro che fu un acquario, guardarla la mattina mette buon umore per la giornata: gran cosa la vita.

udito e tatto

 

Ausculto i segni,

zampette di desideri,

vaghi, come l’odor di dolce dei negozi chiusi.

Di notte,

il silenzio si stende a pennellate larghe,

con briciole di luce

e fotoni dispersi

che urgono, già spenti.

Di notte

il silenzio si posa ai bordi del letto,

agita lenzuola di seta,

slega la veglia dai  piccoli pensieri.

A te penso un poco,

non ti basterà

quello che per me

nel bujo, è troppo.

Questo silenzio lo sento

che sciacqua le rive delle case,

e sale e scende

sino ad affogare il sonno.

Accolgo i piccoli rumori

preziosi sul tetto,

contro il vetro,

e la bava di vento

con atomi d’erba

crepitante e secca:

è notte, ancora,

da bere a sorsi piccoli,

ancora.

vicolo lindo

Stamattina sono uscito presto e l’aria era ancora nuova. Maria dormiva. Maria ha 85 anni, ogni mattina mi saluta con tratti antichi di cortesia. Ne ho già parlato. Spesso la vedo che appende la gabbia del canarino e mi parla intanto, del tempo, della fatica di vivere e del vicolo che tiene pulito. C’è una parola per lei, con più significati, in italiano e spagnolo: linda. E’ così che appare.

In una pagina di De Marchi: libertà ai canarini, il protagonista libera gli uccelli che amava perchè si chiudono le speranze, gli amori e lascia, scivolando nella tristezza di ciò che non è stato. Maria anche se è stanca di vivere, non lascia e ascolta il canarino. Sa che un canarino liberato non dura è difficile parlare con lei di prigioni e di anime che non dovrebbero mai essere in gabbia. Meglio non farsi troppe domande, verrebbero troppe risposte.

decisioni

Decidere se raccogliere la bellezza, oppure lasciarla, come conchiglia, a disposizione del mare. Al filo della sera lasciare che la luce, senza offesa, sola entri, senza immagini. E socchiudere gli occhi avvolto nel principio d’un sogno. Così fino alla notte, al fresco del verde vicino, al suono delle voci nel vicolo. La tenda ondeggia, mostra le stelle e anche la porta che sbatte distante, allora può far bene.

griffe

Da qualche giorno, l’ucraino ha una bella camicia che sembra ricavata da un foulard. Grandi disegni a fiori rossi e blu su fondo bianco, alla Hermes. Indossa occhiali da sole con stanghette bianche alla Gucci. Calzoni larghi, di lino ecrù e sandali, un Trussardi datato. Ogni mattina prende il sacchetto con i panini dai cappuccini del santuario, mangia sulla cassetta del telefono davanti al bar e poi volteggia  nel piazzale con passi lunghi, senza meta. Non chiede carità, se qualcuno gli lascia una moneta, la tramuta in birra del supermercato. Per bere attraversa la piazza e si siede sotto il cedro, beve piano e osserva. Non l’ho mai visto ubriaco o dare confidenza, parla tra sè mentre con civetteria passa la mano a pettine, tra i capelli lisci e lunghi: un gesto compiaciuto e maschio. Starebbe bene con il panama bianco, calato sulla fronte. Ha solo sbagliato paese e storia.

vicino

Quell’appartamento è sempre stato chiuso. Le finestre oscurate da una biacca pesante, mai aperte, neppure d’estate. E quell’albero, cresciuto in disordine, aveva preso possesso dell’intero fazzoletto di terra davanti alla veranda. Tre settimane fa, due giardinieri l’hanno segato, tolto il ceppo ed è riapparsa la casa. Gli uccelli che nidificavano, mangiando le bacche rosse, se ne sono andati. La legna è stata accatastata sotto il poggiolo, in attesa di improbabili stufe e camini e tra non molto diventerà un ulteriore problema. Ma qualcosa sta mutando nell’appartamento chiuso: stamattina un vicino sconosciuto sta vangando il fazzoletto di terra. La vanga è nuova, forse acquistata ieri in prato, al mercato del sabato. Si vede l’imperizia: la schiena troppo curva, il lavoro eccessivo delle braccia. La terra deve essere particolarmente compatta e ricca di sassi. Tra poco si pentirà del lavoro sottovalutato e guardando le vesciche sulle mani, penserà che la terra è dura con gli uomini che vogliono possederla. Nel pomeriggio comincerà a dolere la schiena, ma non si darà per vinto e qualcosa verrà piantato. Magari un nuovo albero, questa volta da frutto, fonte di nuovi problemi e di soddisfazioni, oppure dei fiori. L’appartamento ricomincia a vivere e prima o poi le finestre si apriranno.

Non è questa la speranza, nella minima primavera?