Chissà cosa significa oggi l’esame di maturità per i ragazzi che lo stanno facendo. E cosa sia oggi questo esame, che pur sempre è un giudizio su chi lo sostiene. Oggi si tende a giudicare l’esaminatore più che l’esaminato e allora cosa è rimasto delle antiche paure che facevano perdere il sonno ai diciottenni?
Mi chiedo anche quanto distante sia la percezione dei ragazzi da quella dei genitori, che rivivono qualcosa che li ha colpiti allora. Certo è che l’esame di maturità è mutato molto negli ultimi 30 anni.
Quando l’esame di maturità nacque, nel 1923, pochi anni prima, a 17 anni, i ragazzi avevano fatto la guerra e comunque, anche in tempo di pace, a quell’età la giovinezza si avviava alla fine. L’università, per i pochi che la facevano, era l’anticamera del lavoro che avrebbe garantito uno status sociale, non di rado professioni liberali o comunque di responsabilità. Per gli altri maturandi il lavoro iniziava subito, ed erano stati privilegiati rispetto ai coetanei che avevano iniziato a lavorare 6-7 anni prima. Gli uomini a 18 anni facevano il militare, che veniva considerato un altro passaggio verso la maturità, ma comunque tutti erano convinti di essere grandi e autosufficienti.
La maturità non rappresentava forse questo, sia pure camuffata da esame? Ovvero l’inizio della capacità di disporre del proprio presente, del costruire un futuro, avendo un posto proprio nella società. Era proprio questo lo snodo: il posto nella società, il ruolo, l’essere titolare di famiglia, generare figli, ecc. ecc. Oggi questo non c’è più, ovvero non è garantito e infatti l’essere maturi non certifica nulla se non il superamento di un esame scolastico e al più fa cambiare scuola. E allora, forse adesso, il solo significato della maturità è che in essa c’è la prima vera prova in un mondo iper protetto apparentemente ma che non assicura nulla e tantomeno protegge con l’istruzione.
Ci si dovrebbe anche chiedere se la maturità aiuti davvero a crescere, se l’esame sia sufficientemente severo da proiettare sugli anni precedenti la sua ombra e quindi essere formativo anche in tal senso. Come un rito di passaggio avrebbe bisogno di preparazione, attesa, senso. Se si guardano i reclutamenti che avvengono in Ucraina o in altri Paesi dove la leva militare è porta dell’inferno, diritto di uccidere, probabilità di essere feriti, mutilati, uccisi si capisce che la società bara nelle regole, non dice nulla di ciò che avverrà se si vuole, ma impone e getta in un calderone le vite che devono essere mature. Era così anche nella descrizione di “Niente di nuovo nel fronte occidentale”, nella corsa all’arruolamento, ma nello studio era diverso. C’era un percorso che metteva assieme conoscenza e ruolo.
Nel ’69, durante le occupazioni, si studiava come funzionava l’università altrove, secondo il buon principio sul colore dell’erba del vicino e un esempio che mi piacque fu quello francese di allora, dove tutto avveniva alla fine con l’esame di accesso alla professione, dopo la tesi. Una sorta di esamone di maturità, che faceva di uno studente un laureato vero, cioè una somma di nozioni che diventavano competenze. Non credo sia ancora così in Francia, ma in Italia l’impressione che si ha, è che in questi anni gli ostacoli della corsa si siano abbassati e che si corra più veloci, ma verso dove nessuno lo sa.
p.s. non è che mi piaccia il brivido nefando dell’esame di maturità, tra l’altro l’ho fatto quando si portavano tutte le materie e la commissione, tranne un insegnante era fatta tutta di esterni. Neppure vorrei che si restaurasse qualcosa che non ha più senso. Quello che mi chiedo è proprio questo: il senso. Se la maturità è la prima vera prova allora come tale dovrebbe essere vissuta, ma mi piacerebbe che non fosse una finzione, perché allora servirebbe a poco e soprattutto nasconderebbe altro, ovvero la volontà sociale di non dare un ruolo alle persone estraendo invece tutto dall’individuo. Competitivo, forte, spietato, senza regole. L’atro versante scolastico di completamento di un ciclo formativo è il suo convergere verso l’iperprotettività, quella che insomma non aiuta a crescere e neppure ad apprendere.
Dubbi di un attempato che talvolta ancora sogna di rifare l’esame di maturità e di acquisire altre competenze, perché la vita si riscrive da tanti punti di partenza, ma bisogna sapere che questi esistono e che c’è un percorso dignitoso per tutti che sarà possibile fare.
Mi hai fatto tornare in mente questa divertentissima storia: https://wwayne.wordpress.com/2008/09/03/1994-diploma-di-maturita-di-giuseppe-gatto/
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Divertente, grazie
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Grazie a te per l’educazione che dimostri rispondendo sempre ai miei commenti! 🙂
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L’esame di Stato, che da tanto tempo non si chiama più “di maturità” ha cambiato tante pelli negli anni… Io ho fatto quello in sessantesimi, con due scritti e due materie all’orale, era un esame facile rispetto a quello precedente ma almeno nei primi anni si navigava un po’ a vista e i commissari esterni spesso mettevano in difficoltà, e molte volte lo facevano di proposito. Quando sono stata un’insegnante a un certo punto (nel 1999) è nato l’esame in centesimi, con tre scritti e tutte le materie all’orale. Dal covid in poi so che è stato modificato ancora, ma se Dio vuole io non insegno più, quindi non sono molto aggiornata. C’è un aspetto però nella scuola al giorno d’oggi che trovo estremamente negativo. Apparentemente è una scuola iperfacilitata, molto protettiva, però è anche la scuola della sorveglianza totale, col registro elettronico dove tutto compare praticamente in tempo reale e dove i margini di libertà e anche di trasgressione sono molto limitati. Inoltre, per i ragazzi ambiziosi, c’è un forte elemento di stress, che è rappresentato dall’accumulo dei crediti. In pratica chi vuole avere il massimo voto all’esame di Stato deve avere il massimo dei punti di credito fin dalla classe terza: se in terza sei stato un po’ uno scavezzacollo o avevi solo la media dell’otto e non del nove, non avrai l’ambito 100 alla maturità. In pratica fin dai 16 anni il ragazzo deve essere perfetto e irreprensibile sia nel profitto che nella condotta. Ho conosciuto diverse ragazze e ragazzi che dopo tre anni passati a inseguire la perfezione hanno avuto un crollo psicologico…
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Non sono mai stato un buon studente, ho fatto un buon esame di maturità ma è stato un ravvedimento degli ultimi due anni. Poi ho fatto il 68, il militare da sposato, ho vissuto. Della maturità, scusami se continuo a chiamarla impropriamente, ho vissuto le emozioni oltre l’impegno totale, tutti gli scritti, tutti gli orali. Una parte della vita che ricordo ancora. Ora il mondo è cambiato, per me era importante conoscere, capire, apprendere, vivere. Ora vedo il figlio di mia nipote che è impegnato negli esami e non capisco cosa e come viva questa parte della vita. Penso alle attese che non ci sono e al fatto che ben poco del mondo in cui vivranno li interessa.
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