



Tu mi parlavi di un’età dell’innocenza. Un azzerare il tempo che tira una riga tra un prima e un dopo, e l’età dell’innocenza non sembrava essere solo quella dell’equilibrio nel desiderio, la soddisfazione piena dove tutto è semplice e possibile.
Credo sia una tentazione (pensai), quella dell’innocenza, a cui non sfuggiamo mai, per un bisogno di essere stati prima dello sfiorire. Partire da un profumo greve di realtà, che è un intelligere il mondo, i rapporti tra sentimenti, le cose, cercando di scrostare vecchie morali consunte che mantengono ben occultati i modelli di una primigenia purezza.
Che fosse per l’uno o per l’altro bisogno, questa parola emergeva tra le tue ed era un sinonimo di bellezza. E la mia testa correva ad altre vite dove la purezza e la bellezza si erano fatalmente scisse in un continuo bere dalla coppa della velocità del vivere ed era un’impressione che nei tuoi confronti non avevo mai avuto.
Come cercare allora la purezza/bellezza (dissi), se non nel gesto puro, nel sentire puro, dove tutto si annulla nel rapporto tra chi sente la bellezza e l’oggetto di quella percezione. E quanto si complica tra umani tutto questo, nell’introdurre la comunicazione, lo stesso sentire che diventa una condizione del condividere nel profondo. Non esistono bellezze asimmetriche che portino alla purezza (pensai), le bellezze parziali sono sempre una copia mal riuscita e chi le vive sa che quel pezzo di sentire ha bisogno di qualcos’altro per completarsi. La bellezza si completa in noi (questo pensai), abbiamo noi il pezzo mancante che ci affranca dalla nostra condizione, ci rende altri.
Chi percepisce la bellezza non può restare uguale a prima e questo mutare lo rende fragile, inerme, consegnato all’incapacità di comunicare ciò che sente davvero.
(dissi) Forse allora la purezza di cui parlavi, era un rapporto con sé, un accogliere e portare dentro la bellezza e farsene riempire. E non sempre tutto ciò rende lieti (pensai), vedendo la tua tristezza. Però per alcuni era impossibile rinunciarvi, qualsiasi altro succedaneo sarebbe stato inferiore a ciò che si era sentito/provato. Era l’età dell’essere che doveva nascere. Quella che accanto al sentire la bellezza la faceva diventare coscienza di sé. Non è scontato essere sensibili (dissi) e spesso chi lo è, non vorrebbe esserlo, ma senza sensibilità l’essere diventa poca cosa.
Ma non bisogna scindere le cose (pensai), è necessario che il sentire e l’essere si fondano, che la bellezza, e l’acutezza del percepire diventino gesti, forza. Che capire ci renda indipendenti, perché (e questo lo dissi) la nostra purezza/bellezza non può dipendere da qualcuno, ma dev’essere nostra. Perché solo noi la completiamo. Possiamo donarla, se vogliamo, ma dev’essere nostra, una modalità del vivere con noi.
Cosa, quantomai fallace, molti pensano che l’età sia una misura del tempo, che essa deve essere riempita di cose e sentire comuni e che bisogna correre per provare il più possibile. Così nasce l’idea che l’innocenza non sia possibile e casomai un intralcio, che essa risieda in un tempo forse mai vissuto, ma di cui si conserva un ricordo.
Mettendo sempre insieme desideri e realizzazione, (pensai) pensano che questa sia la strada verso la soddisfazione e che questa coincida con equilibrio, pace interiore e bellezza e la scindono da quell’innocenza che sembra far d’impaccio.
E tutto ciò mi sembrò sbagliato, in sé povero di unione tra sentire ed essere. Come essere una cosa diventata che solidifica e non una possibilità che fluida, si attua, e muta in continuazione, e ha questo faro dell’unire il sentire e l’ essere e di farne per sé qualcosa di più alto e privo di connotati.
Puro per l’appunto. Ecco questo pensai e non lo dicevo, ascoltavo, e sapevo che non finiva mai il capire la genesi interiore che era ora povera, corrosa, realtà.
Questo testo, più che una riflessione, è una in-cantazione: un modo di restare in ascolto del proprio divenire, di affermare che solo chi è attraversato dalla bellezza (intesa come forza che unisce sentire e coscienza), può nascere davvero. E che questa nascita non è sempre lieta, ma necessaria.
Forse, in fondo, la purezza è la forza gentile che ci chiede di non tradire ciò che abbiamo sentito nel profondo, anche quando tutto intorno invita a dimenticarlo.
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Mi piace molto Nadine come vedi la purezza, ovvero una forza gentile e sorgiva che fa emergere ciò che viene dal profondo. È un cogliere una relazione primigenia che non media perché ha in sé la gioia di essere. Un nascere. Bello e fecondo questo pensare. Grazie 🤗
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