Lavava la camicia come s’usava un tempo,
la tela insaponata su se stessa strofinata.
E attorcigliava e risciacquava,
riassumendo attento
mentre parlava con la vita.
Ma non aveva un ruscello a disposizione,
un flusso d’acqua chiara,
solo una bacinella e la rastrelliera
davanti la chiesa dei Cappuccini.
E intanto pioveva a raffiche
mentre lui lavava
immergendo e sbattendo la camicia sulla rastrelliera.
A capo scoperto, cantava
come fosse in chiesa
con parole chiuse in gola,
grumi di vocali buttate
in mezzo a consonanti di saliva.
Cantava strascicando le parole,
per ascoltarne il suono
sotto la pioggia, si fermava,
muto.
E nessuno chiedeva.
dagli ombrelli frettolosi,
dalle paste della domenica,
dai passi sottobraccio.
Il piazzale si vuotava
e per lui già era primavera.
Il testo è profondamente cinematografico e musicale. Potrebbe appartenere a un poeta del realismo contemporaneo, Willy, capace di trasformare un frammento ordinario in una scena universale. La pioggia, il lavaggio, il canto e l’indifferenza della folla creano un’atmosfera malinconica e, al contempo, vibrante di significati.
Mi ricorda certi versi di Pasolini o la poetica degli umili e degli ultimi di Rocco Scotellaro. C’è un senso di dignità, di ritualità nascosta nella fatica, e una profonda capacità di resistenza interiore. Bravo!
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Grazie Nadine, la poesia era nei gesti dell’uomo, così reali da cancellare l’indifferenza. Rivoluzionario come la pacifica follia che mostra la nostra inanità
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Bellissima poesia.
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Grazie Marina 🤗
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L’indifferenza uccide
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Stavolta (strano ma vero) direi che prediligo l’altra versione, invece della sintesi.
Resta comunque una grande storia e splendidamente narrata 👏
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Dove la trovo?
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Ciao Nadine, guarda che c’è il link qui sotto: “L’uomo della pioggia”.
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