un uomo comune

In questo nodo di festività che si concentrano intorno al Natale, ci sono difficoltà comuni che accomunano credenti e non credenti. Un disallineamento tra realtà e immaginario, tra visto e sentito che non di rado sfocia nella tristezza e nel desiderio che il periodo passi al più presto. Il peso delle ritualità, anche quelle che nascono per rifiuto o differenza rispetto al vuoto, accompagna un senso di privazione di qualcosa non ben identificato. E questo riceve molte risposte, ma il come uscirne non è un ridisegno ma una fuga. Leggevo uno scritto sull’indifferenza e di come essa sia difficile da raggiungere dopo un sentimento provato, in particolare quando chi ha generato la rottura con un prima, sia presente. Non c’è una invisibilità perché la nostra storia è in noi e continua a produrre, anche se è altro da ciò che veniva suscitato prima. Si reagisce o si subisce e questo avviene anche per le feste che hanno comunque altri significati. Non pochi attendono che si esaurisca il periodo, ma il vuoto rimane con le ragioni razionali. 

Questa convergenza di disagio, che quindi non dipende solo dal fatto di credere o meno, dovrebbe far riflettere su quanto significhi questo periodo dell’anno e ansare oltre alle frenesia e ai riti. Quindi, non l’oggetto e la sua immagine, ma piuttosto l’essenza, ovvero ciò che si vuol rappresentare: la spiritualità. Chiedersi quanto essa ci appartenga, vedere come positiva opportunità il tempo che viene distolto da abitudini e superficialità e riportarmi a sé. Quanto ci siamo siamo allontanati dalla ricerca di chi siamo davvero, dalla nostra poesia interiore e come ci possiamo trovare in un nuovo equilibrio di relazione con il profondo?
Le religioni hanno risposte che indicano strade ma espropriano la spiritualità libera dall’uomo e la confinano nelle regole, nei dogmi, nella mortificazione del sé umano. La società di mercato compie un’operazione analoga e crea nuovi rito e felicità indotte, mai libere e rispettose dell’uomo. Chi non vuole né le une né l’ altra oppone un rifiuto, non rinuncia alla propria spiritualità e non si adegua e sa che la risposta alle sue domande gli impone di trattare la propria dimensione spirituale uscendo dai pregiudizi e vedendo dentro di sé. La religione è un prodotto degli uomini, un bisogno di spiegare, non si può essere indifferenti ad essa, né a chi crede, allora resta l’agnosticismo, e si cerca di avvicinare lo spirituale al pensiero, riducendolo, per quanto si può, al comprensibile, al razionale e dove non si può, si medita su ciò che non si capisce.

Come entri lo spirituale nelle nostre vite, è parte dell’esperienza di ciascuno, ma anche, e soprattutto, dell’accettazione di questa parte essenziale dell’uomo, che non è solo superstizione o bisogno di sicurezza, però esiste e vale almeno quanto il razionale o la parte che assegniamo ai sentimenti nel guidare le nostre vite. L’uomo, noi, siamo tutto questo insieme, nel mescolarsi di dimensioni diverse che danno una direzione, ed il prediligere l’una o l’altra dimensione orienterà le scelte che facciamo nelle relazioni, nel vivere concreto, nel rapportarci con noi stessi. 

Sull’eclisse del sacro, sulla superficialità di questi giorni, chissà quanti articoli, blog, riviste manifesteranno il disagio esistente tra l’immagine luccicante delle festività e il sentire delle persone. Anche se questo riflettere sarà ben inserito tra una pubblicità di orologi, un’altra di profumi, una di un’auto seguita da quella del cibo firmato.
E chi, come me, si interroga, tornerà ai classici senza tempo, avrà rispetto della poesia e della bellezza. Cercherà con umiltà di trovare una via che non getti il positivo di un malessere che ci chiede di assomigliare a noi stessi. Dopo le reazioni che oscillano tra il rifiuto del troppo che ci attornia e la ricerca di significati a ciò che si sente e si vede, si pensa a ciò che non può ripetere l’infanzia ma può recuperarne il meraviglioso che l’accompagna, e ci si accorge che il filo che tutto cuce è nell’amore che esiste attorno.

Un ripasso di ciò che conta davvero, oltre le modalità, oltre il vincolo delle giornate, ascoltando gli affetti e le domande che arrivano. Bisogni forse troppo simili per non dire che questo senso del religioso sconfina troppo spesso nel bisogno d’amore e che forse andrebbe investigato in questo senso.

Ma come si legge, non ho soluzioni, so chi non sono ma non so chi sono. Forse perché è il cammino che conta e la riflessione che continua. Questo è uno dei temi del vivere. Almeno per me.

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