








Aver fede nell’essere è fiducia in sé stessi. L’essere contiene tutto ciò che conosciamo, ciò che siamo e ciò che non conosciamo di noi. Tutto interagisce nell’essere, pesca nella memoria e nel futuro, è il tessuto che genera il genio e la sciocchezza. Questo non significa che tutto sia uguale, che non capiamo cosa ci fa bene o ci dà piacere e cosa è negativo, c’è un discernere che è un processo in parte cosciente e in parte si affida all’intuizione, ciò che ne esce è comunque contenuto nell’essere. Questa percezione che siamo più grandi e più capienti del giudizio che di volta in volta abbiamo su di noi, non è alterigia o peggio supponenza, ma piuttosto la percezione che quella parte in ombra che è sempre nostro essere, andrebbe rispettata, indagata con rispetto, accolta con umiltà.
Pensiamo alla capacità di fantasticare, quella di immaginare scenari con veridicità elevate, la possibilità di ricordare, di elaborare un ricordo e riconnetterlo al presente. Il ricordo diventa vero nel processo che lo riporta al presente e contiene non solo il fatto accaduto, quanto mai impreciso, ma tutta la strada che lo riporta fino a noi, ossia l’essere com’è mutato.
L’essere contiene il giusto e l’ingiusto, non sono capacità immanenti, ma forse ci sono tratti comuni della specie che affondano nell’istinto di conservazione e nei rapporti di clan che diventano archetipi trasmissibili. Questo emergere del giusto è connesso con un rapporto paritario tra specie, una sorta di armistizio che rende norma la cooperazione in funzione di un benessere. L’essere non cessa di essere tale nel gruppo, trova l’individualità come coscienza e mezzo di relazione e al tempo stesso accresce la sua capacità di crescita. La conoscenza è gli strumenti di comprensione si accrescono nell’analogia, diventano memoria di gruppo e sono trasmissibili, quando diventano limite è l’essere che si porta oltre e li infrange secondo un obbligo di fedeltà a sé che pacifica il confronto tra esteriore e interiore. Chi ci conosce davvero siamo noi stessi, è la solitudine della comprensione che sente il limite del comunicare. Il senso del vivere diviene la comprensione di ciò che è potenziale, che è presente ma non conosciuto. In questo consiste il vivere come approssimazione di ciò che siamo interamente, con la verità che rappresentiamo e che ci accompagna in ogni nostro pensiero, sogno, passione, scelta.
Foto eccezionali, riprese da punti di vista particolari.
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Siamo spesso assai accondiscendenti nei confronti del resto del mondo da non concedersi il lusso di ridurre avidità quando pretendiamo da noi stessi
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Forse non è sbagliato usare più spesso l’accogliere. Tu lo fai e lasci entrare il buono che parla a te e trova sintonia. Cerco di farlo come so e questo non mi lascia sempre preda della tristezza di ciò che accade. Diventare scettici è perdere noi stessi.
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Sono d’accordo con l’accoglienza, tra l’altro essa è resa possibile proprio dalla fiducia in se stessi.
Belle foto e come sempre ottimo testo. Grazie per i mille tesori nascosti nel tuo cuore.
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Ho da poco finito Gilead della Robinson, e come per mc Carthy il pensiero è volato spesso a ciò che pubblichi e che ami. È una sensazione di dialogo per interposta persona. Grazie Marina 🤗
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