
Confesso che ho vissuto e attorno a me vedo molta difficoltà a vivere. Forse per questo mi confondo, ho l’impressione di avere verità e idee comuni, ma la realtà mi contraddice. C’è sofferenza e non c’è protesta. Il mio secolo è a cavallo tra un secolo che non finisce ed uno che non inizia. Hobsbawm l’ha definito il secolo breve per contrapporlo al lungo secolo 19° , ma chissà se lo pensava davvero vista l’opulenza di cui si è nutrito il ‘900. Un secolo bulimico la cui voracità si estende a questo secolo. Un secolo che ha divorato e divora, tempo e vite. Non si è concluso nulla o quasi, un secolo inconcludente, abitato da tragedie e persone inconcludenti, da ideologie mutate nel loro peggio, da lotte che si sono placate non nel cambiamento, ma nella stanchezza, forse per questo si è vissuto così tanto.
Indignatevi. Per la velocità che nasconde la ragione. Il secolo breve era cominciato con l’ideologia della velocità.
Indignatevi per tutto ciò che vi lasciate togliere. Oggi fate la spesa la domenica e lavorate sempre.
Indignatevi perché il giusto non è ridurre uno stipendio abnorme, non solo, è abolire il privilegio che l’ha permesso, che discrimina, tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha. E’ questo il confine del potere e c’è chi sta una parte e chi dall’altra, io scelgo quella che non ha privilegio.
Aver derubricato la lotta di classe, non ha tolto le classi, ma ha fatto perdere l’idea di eguaglianza. Ha tolto sostanza al rapporto tra le forze che dovrebbero gestire l’equilibrio tra economia e società, tra diritti e ricchezza. Così si è vanificato il diritto comune all’eguaglianza sciogliendolo nell’acido della finanza e della speculazione. Non il lavoro, ma il denaro è diventato il soggetto che riguarda l’uomo. Basti pensare che ciò che si ritiene un diritto non negoziabile, quello alla vita, e ogni giorno, in occidente, come nel resto del mondo, messo in discussione dall’esistenza di un lavoro, di una sua continuità, oppure di una pensione, di un sussidio. La Grecia non ci ha insegnato nulla, è neppure la pandemia, eravamo crapuloni e tali siamo rimasti. Ogni evento inatteso si dice insegni molto, ma non s’impara nulla.
Indignatevi perché si è accettata la povertà come funzionale, la diseguaglianza come elemento strutturale e come motore della mobilità sociale, seppellendo la possibilità di un’eguaglianza vera di base, di una valutazione del merito. La perdita di diritti ne è conseguenza perché in questa visione, sono stati monetizzati ed era naturale quando si è affidata alla sola parte del capitalismo, all’impresa e alla sua proprietà e non al lavoro, il compito di condurre il mondo. Il denaro compra i diritti e gli effetti si vedono con le diseguaglianze che crescono, con la democrazia che diminuisce.
Indignatevi per chi muore per lavorare, ma non fatelo solo per un giorno, togliere il rischio dal profitto è una impresa che cambia la società e il modo di vedere chi lavora.
Indignarsi qui, oggi, nel virtuale, ha un significato ben diverso da ciò che abbiamo attorno: è la protesta reale che analizza, lotta e cambia la società, ecco cosa manca oggi all’occidente. E ciò che manca contiene la speranza del cambiamento vero, permanente, contiene la maggiore equità, ma nel lessico comune invece, la speranza si è trasferita nella crescita economica. Per questo mi confondo e vedo che i migliori ingegni, la meglio gioventù sente l’estraniazione dall’occidente. Non pochi scelgono di esercitare un cambiamento nel terzo mondo piuttosto che a casa propria, nelle situazioni al limite, piuttosto che nella normalità. Mai come ora la normalità ottunde, e addormenta la speranza. Mai come ora è necessario che sia il quotidiano a verificare se ciò che ci attornia ci va bene oppure no.
Il vecchio partigiano Stéphane Hessel ci aveva chiesto di indignarci, ma nessuno non s’è indignato davvero abbastanza a lungo per cambiare il mondo. E’ morto dieci anni fa, il vecchio partigiano, senza saperlo, forse sperando che le parole potessero mettere in moto cuori e cervelli, com’è stato molte volte. Ora funziona solo il presente, lui pensava al futuro.
È un contributo magnifico il tuo. Il Primo Maggio è come il 25 Aprile, o è ogni giorno o non è festa, è de profundis
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libertà e il lavoro dignitoso vanno assieme. Buon primo maggio amico mio
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Un primo maggio di concerti nelle piazze di molte città italiane . La musica piace e va bene ma non basta. Cosa pensa il popolo d’Italia che soffre ? C’è silenzio ,anziché indignazione . Eppure non c’è libertà, senza lavoro dignitoso. E il lavoro è piuttosto carente ,per lo più è precario e non retribuito in modo equo .Credo che manchi molto anche al presente frettoloso e superficiale , forse questo vuoto fa sì che il futuro appaia ignoto e intimorisca.
Grazie per la chiarezza esemplare sul primo maggio, così dovrebbe essere ogni giorno . Buon primo maggio caro Willy .
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Buon primo maggio Sossu, stamattina le persone erano più del solito in piazza, ma poco oltre la vita era la solita, quella che dimentica che il lavoro non è solo una prestazione ma parte essenziale di un organismo collettivo e che la sua qualità rende dignitosa e importante la vita. Grazie per la tua lettura e condivisione 🤗
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Articolo che ho molto apprezzato e che condivido. Analisi perfetta, purtroppo di indignazione ne vedo poca nel quotidiano, tutti noi presi dalle nostre piccole vite che facciamo sempre più fatica a gestire e di forze reattive e vitali per opporci non ne abbiamo per come bisognerebbe. Anche la speranza è diventata faticosa.
Lavoro tutti i giorni con persone di ogni tipo e posso confermare che stanchezza e disillusione aumentano sempre più.
Il Mondo soffre di depressione e la rabbia ne è la compagna.
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Grazie Marina per il riscontro che aggiungi alle mie sensazioni. Il presente divora ogni progetto, diventa rabbia inane perché non ha né razionalità né immaginazione. Muore nel bisogno e non riconosce chi lo condivide.
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