Esiste un orlo del tempo, una fretta che diventa creazione perché genera pensieri che dovrebbero essere continuati e allora attinge a risorse sconosciute, le allinea, cerca di mandarle a mente, le rimanda con il senso della perdita che non sarà colmata perché nulla si ripete davvero nei nostri circuiti di senso, ma intanto altro, interrompe e porta via. Resta un alone che ricorda, sarà dissolto dalla creazione, che è furore e nostalgia.
La ricerca di dominare ciò che è un protendersi nell’ignoto e trarne un immediato senso è solo un capo del refe tessuto d’ illusione: è il filo che tenendo assieme genera il senso e il nuovo.
Così esiste una calma che non è noia, né bonaccia, è l’intromettersi di pensieri che salgono e sconfiggono il rettiliano che vorrebbe tutto e subito. Riportano, i pensieri, in una sospensione del capire della superficie, persino l’intuizione sospendono. Ed è un dialogo tra il dentro e fuori che nei momenti di mirabile equilibrio è meditazione. Nulla urge, nulla va perduto, tutto è labile per sua natura e come il capire si deposita e permette di pensare senza farlo. Vedersi.
In quell’attività dell’anima, ch’è guardarsi nello specchio oltre ciò che ad altri può essere utile, vedo segni del tempo, un lampeggiare d’occhi, tratti che riconosco, e allora indugio nei pensieri, che resistenti, han modellato solchi, tracciato mappe: percorsi ch’io seguo e ricordo. Ma anche il nuovo vedo e non sempre è facile o benevolo, è ciò che trattengo che mi ha segnato? E come lasciare ch’esso si liberi e corrisponda non a ciò che è stato ma a ciò che vorrebbe essere?
Chi mi vede, scivola su tutto questo, chissà che cerca, mentre anch’io mostro la vanità d’esser un po’ sopra il ripiegar la schiena, e tengo per me, e per pochi altri davvero, il senso di quelle strade che costante indago. Di tanti anni, ed errori, m’è riuscito il riconoscermi (il ricordo è così mutevole e creativo), mentre a dire ciò ch’è accaduto, solo i segni restano oggettivi.
Forse è questo che rende contento il sapere che una mano ancora lasci impronte di calore sulla mia. Andare, mentre mi guardo, andare in scelta o solitaria compagnia, andare restando qui, in cerca di me stesso.










… Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito…
Un viaggio chiamato amore
…Forse è questo che rende contento il sapere che una mano ancora lasci impronte di calore sulla mia. Andare, mentre mi guardo, andare in scelta o solitaria compagnia, andare restando qui, in cerca di me stesso.
È più semplice giudicare che riflettere per comprendere anche se non potremo mai avere le risposte alle nostre numerose domande. Ho trascritto alcuni appunti dopo aver letto il tuo Vanitas Vanitatum . Ho riportato la tua chiusa ci trovo l’essenziale
Buona notte Willy
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Grazie Francesca, il tuo commento è un testo su cui meditare e sentire che non finisce il bello che abbiamo davanti e dentro di noi.
Grazie. Buona notte Francesca.
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Una parte che ho trascritto dai miei appunti appartiene a José Saramago 🤗
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I pensieri di Saramago sono un patrimonio per noi tutti.
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