the alle cinque e un quarto

È più facile comunicare il dolore fisico che il disagio interiore. Le emozioni, s’approssimano di parole. Forse è la loro natura che attinge dove non c’è parola che le rende difficilmente comunicabili e quando qualcuno dice “ti capisco”, in realtà pensa a sé, alla sua esperienza. Non sente davvero chi gli ha raccontato, il disagio che prova, ma ciò che in lui assomiglia e pensa sia la stessa cosa.

Vale anche per la gioia e la contentezza, altrettanto difficili da comunicare e spesso fraintese in quello che dà loro singolarità, ovvero il legame personale con il ricordo e l’emozione del nuovo che s’affaccia. Solo un amore condiviso raggiunge la possibilità di comunicare un’emozione e condividerla con le stesse parole mute, perché s’avvale del corpo, se può, e comunque dell’esperienza erotica.

Questa difficoltà a far corrispondere con le parole le emozioni genera insieme attenzione e frustrazione, non è facile l’ascoltare empatico senza un dialogo profondo. Questo, credo, sia il limite che troviamo talmente diffuso da essere considerato normale e che isola la persona nell’emozione e nel malessere.

Siamo soli se non ci cerchiamo, se non amiamo, riamati.

Questa pioggia sporca dentro,
e noi, fatti impermeabili, fuggiamo preoccupati di vestiti e scarpe.
È sporca l’acqua che cade nella città simmetrica
viene dal cielo oleoso che galleggia sui risentimenti,
è ostaggio e preda, di chi lascia
e come sempre accade,
nei ricordi, ci sarà la rossa lacca delle sue unghie,
non i tuoi poveri sorrisi senza tempo,
ma i suoi, già espliciti,
come l’affollarsi dei no
e del the che si è versata addosso
sentendo la parola smisurata.


6 pensieri su “the alle cinque e un quarto

  1. Come hai ragione, eppure vorremmo offrire questo infinito tascabile a chi pensiamo possa accettarlo. Fargli sentire la sfumatura che solo i sentimenti possiedono e che in noi diventano esperienza unica. Un piantone di emozione che comprende il nero del nostro big bang e che ci scuote, ci fa sentire unici e soli se privati della parola. Proviamo e riproviamo, fidando che un limite si abbatta, una parola trovi il suo senso pieno, coaguli l’ indefinibile che ci scuote e non lascia pace. Vanitas vanitatis e ripercorrere il silenzio diventa una risorsa.

  2. Caro Willy siamo soli se non amiamo riamati ,l’amore sembra diventato quasi uno “sconosciuto “… Ma comunicare apertamente , ascoltarsi è rispettarsi
    Poi comprendersi, essere complici è un volersi bene prezioso . Ciao ti abbraccio

  3. Grazie Francesca per le tue considerazioni. Hai ragione e se il genere umano ha continuato ad esistere, credo sia anche dovuto a questa forza dell’amore dei singoli che spinge avanti lo stare assieme dei molti. Che la solitudine sia un problema non solo di comunicazione e da sempre, è anch’essa costante. E non risparmia l’età solo trova soluzioni diverse. Abbraccio ricambiato🤗

  4. Ci sono degli incontri in cui sembra che due anime siano incollate l’una all’altra, formando una unica cosa; si sente l’altro come se stesso e viceversa, si sente il mondo allo stesso modo (a prescindere dallo scambio corporeo). Le affinità elettive che costruiscono l’amore o viceversa.
    Tutto questo per dire che l’incomunicabilità non è assoluta, forse più difficile la condivisione del dolore. È la condivisione che difetta, sono rimasti in pochi a voler veramente sentire il “peso” dell’altro.

  5. Con dividere è difficile, hai ragione Marina, perché il peso è già insito nella parola, quel dividere qualcosa assieme. E non si limita alla sofferenza ma si estende alla gioia, alla bellezza, alla sensazione che ci sia un dialogo profondo. È dal comunicare e dall’essere ascoltati che molto inizia, chi ascolta diviene raro. Perché on abbiamo tempo o perché l’umanità che è in noi si affievolisce? Il bisogno diviene parte del singolo e questo magari si affronta altrove, con altri mezzi, ma non restando assieme se non si è ascoltati.

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