ciò che si riesce a dire è sempre incompleto

Fuori l’aria s’ è riempita di piccole infiorescenze. Questo annuncio d’estate porta profumi intensi e notturni, la stagione del tiglio è tornata. Le stagioni erano prevedibili ora sorprendono sempre, e sono diverse perché assieme mutiamo. Un tempo i tigli erano un’ondata di profumo per le passeggiate serali e poi una poltiglia scivolosa che attendeva la cura degli spazzini, adesso sono un piccolo segreto che non si condivide. Ricco di sottigliezze e sensazioni. È il tempo vissuto che fa questi scherzi. Scorrono le nostre piccole virtù e con esse le abitudini a cui con l’età è difficile rinunciare tanto esse ormai coincidono con noi. Anche nelle persone che si amano ci sono aree di fatica, sordità e cose scontate. In fondo ci conosciamo col limite della curiosità e non siamo obbligati ad essere costantemente aperti e curiosi. Le passioni, dopo il tempo in cui tutto sembrava sovrapporsi, divergono. Non vanno distante, come per i bimbi che sperimentano le loro indipendenze, restano a tiro di voce e ogni tanto gli occhi si alzano e cercano il corpo noto e amato. Così non si parla di ciò che si pensa annoi o non sia sentito con altrettanta passione: forse è questa la stanza tutta per sé di cui si sente la necessità, anche se c’è disillusione se la porta non viene mai bussata.

Chissà che significano per gli altri le cose a cui dedichiamo tempo e attenzione. Mi sono dedicato per anni a mestieri come la politica, irti di spinosità e rade soddisfazioni, cosa emergeva delle notti insonni, delle piccole vittorie, delle immani cadute, quando ciò per cui avevo lottato, naufragava. Ogni sconfitta era un raccogliersi. Un dirsi che ci sarebbe stato altro tempo, che esso mi/ci avrebbe dato ragione e intanto passavano gli anni. Si poteva pretendere che il mondo a me/noi più vicino stesse fermo, che attendesse? No di certo, eppure nella sconsideratezza che accompagna ogni passione, la rende grande a noi e la giustifica, quell’irrazionale attesa da qualche parte c’era e doveva ogni volta essere rintuzzata, ricondotta a ragione.

Così ci si abitua a capire che le vite proseguono parallele e si toccano comunque, e nella sublime geometria dei sentimenti ciò che è separato non lo è mai davvero o del tutto. C’è un incomunicabile amoroso che rispetta e lascia crescere, guarda e anche quando non capisce bene l’importanza, accetta e lo mette sotto il nume tutelare della fiducia. Anzi ne fa materia sorridente, specificità d’un rapporto. Questa credo sia l’incomunicabilità fisiologica del non dire ciò che si agita dentro e che non ha voglia di raccontarsi perché neppure lui davvero si capisce, ma vorrebbe essere capito, ma pure viene ( a volte) accettato. E nulla di questo ha a che fare con l’indifferenza, sino alla consapevolezza che ciò che si riesce a dire è sempre incompleto (e a suo modo esaustivo).

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